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LONGARONE - «Avevo riportato a Longarone, proprio in via Vajont, una valigia che mi aveva prestato mia sorella. Era la sera del 9 ottobre 1963. Avrei voluto anche fermarmi per vedere la partita ma ero stanco, così decisi di tornare a Belluno dove abito ancora oggi. Mezz’ora dopo la mia partenza successe il disastro. Persi tutta la famiglia».
TERRE ESPROPRIATE
Vittorio Baldan racconta il suo dramma legato al disastro del Vajont. Un dramma tristemente comune, una storia tra tante storie di sofferenza e incredulità per una tragedia che ha avuto la potenza di una bomba atomica, non solo nel distruggere una comunità, ma anche nell’annientare le vite di quanti sopravvissero ad una sciagura figlia della regola del profitto alla quale tutto può essere sacrificato. Che il monte Toc stesse per franare lo sapevano tutti, anche i contadini che su quella frana, prima degli espropri (concetto che all’epoca fece il suo triste debutto), pascolavano i loro animali, coltivando patate e mais.
IN PRIMA FILA
Vittorio e la sorella Edda, ieri erano in prima fila al Cimitero monumentale delle Vittime.
«IL DOLORE RESTA»
«Scriva del mio nipotino - si raccomanda Vittorio -, perchè è una cosa importante». Furono ben 460 i giovani sotto i 15 anni morti in quei quattro minuti di apocalisse. «Incontrare il presidente - conclude - è stata un’emozione. Non mi era mai accaduto. Mi ha detto di avere coraggio». Contento? «Cosa vuole, il dolore resta comunque». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino