L'abbraccio di Mattarella al superstite del Vajont che perse il nipotino di 10 mesi: «Tornai a Belluno mezz'ora prima del disastro»

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LONGARONE - «Avevo riportato a Longarone, proprio in via Vajont, una valigia che mi aveva prestato mia sorella. Era la sera del 9 ottobre 1963. Avrei voluto anche fermarmi per vedere la partita ma ero stanco, così decisi di tornare a Belluno dove abito ancora oggi. Mezz’ora dopo la mia partenza successe il disastro. Persi tutta la famiglia». 

TERRE ESPROPRIATE
Vittorio Baldan racconta il suo dramma legato al disastro del Vajont. Un dramma tristemente comune, una storia tra tante storie di sofferenza e incredulità per una tragedia che ha avuto la potenza di una bomba atomica, non solo nel distruggere una comunità, ma anche nell’annientare le vite di quanti sopravvissero ad una sciagura figlia della regola del profitto alla quale tutto può essere sacrificato. Che il monte Toc stesse per franare lo sapevano tutti, anche i contadini che su quella frana, prima degli espropri (concetto che all’epoca fece il suo triste debutto), pascolavano i loro animali, coltivando patate e mais.

IN PRIMA FILA
Vittorio e la sorella Edda, ieri erano in prima fila al Cimitero monumentale delle Vittime. Aspettavano di poter vedere il presidente Sergio Mattarella, con la speranza di potergli stringere la mano. Un desiderio che si è concretizzato in un inaspettato abbraccio che ha commosso Vittorio. «In quella tragedia - racconta Vittorio - ho perso mia sorella Maria, aveva 33 anni, il cognato Giuseppe Nebulone di 32 e il mio nipotino Carlo di soli 10 mesi. Abitavano in via Vajont, ovvero in una delle aree colpite per prima dall’acqua. Non rimase più nulla. Non trovammo più né mia sorella né suo marito. Dopo qualche giorno fu rinvenuto solo il corpicino di mio nipote. L’acqua lo aveva trascinato lungo il Piave fino a Limana, dove venne ritrovato sotto un ponte. Ricordo che andammo per il riconoscimento e il piccolo era già dentro ad una bara bianca. Lo portammo qui, dove ora riposa». Il ricordo brucia ancora, perché certe ferite non possono rimarginarsi, specie quando si parla di bambini.

«IL DOLORE RESTA»


«Scriva del mio nipotino - si raccomanda Vittorio -, perchè è una cosa importante». Furono ben 460 i giovani sotto i 15 anni morti in quei quattro minuti di apocalisse. «Incontrare il presidente - conclude - è stata un’emozione. Non mi era mai accaduto. Mi ha detto di avere coraggio». Contento? «Cosa vuole, il dolore resta comunque». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino