In coda per imparare a capire la morte: il master del fine vita

In coda per imparare a capire la morte: il master del fine vita
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PADOVA - Ci sono "allievi" di tutte le età. E con specificità varie: giovani neolaureati, professori, sociologi, psicologi, filosofi e pedagoghi. Perfino gli artisti non mancano. Tutti con il medesimo obiettivo: approfondire l’argomento e offrirsi la possibilità di diventare poi consulenti negli ospedali, nelle comunità, o nelle associazioni che si occupano di malattie terminali come cancro, o Sla.




All’Università di Padova, infatti, sono aperte le iscrizioni al master "Death Studies and the End of Life": è l’unico in Europa a occuparsi di temi quali appunto morte, fine vita ed elaborazione del lutto. A dirigerlo è la professoressa Ines Testoni, psicologa, psicoterapeuta, filosofa e docente alla facoltà di Psicologia dell’ateneo, la quale per questa edizione al suo fianco ha uno tra i più noti filosofi viventi: Emanuele Severino.



È il sesto anno che il Bo propone tale master e ogni volta c’è la corsa per accaparrarsi un posto ai corsi che iniziano a dicembre e durano fino a ottobre, con interruzione in agosto. Le lezioni si tengono due week end al mese. La passione di Ines Testoni per le tematiche inerenti la morte è datata e da una decina di anni, insegna pure Death education a chi opera nelle scuole. Professoressa, come le è venuto "l’hobby" del fine vita? «Da un lato si tratta di argomenti che riguardano tutti e dall’altro c’è il fatto che gli studi sulla paura della morte stanno sempre più guadagnando interesse.



Manca, e va costruito, un linguaggio simbolico per comunicare che siamo destinati a finire. Fino a quando non ci coinvolge personalmente, pensiamo che la morte riguardi gli altri e non abbiamo categorie per organizzarci la vita di fronte a queste situazioni, in modo da mantenere benessere ed equilibrio. Il problema del lutto può coinvolgere pure i bimbi. Partendo da Halloween e dalla Festa dei morti, possiamo aiutare anche loro. Perché la morte non deve essere solo angoscia, ma anche speranza». E il master che cosa insegna? «Spiega come sia possibile trovare parole e gesti per entrare in relazione con i morenti, senza cedere alla tentazione di offrire solo quella pietà che forse loro sperano di non ottenere come risposta, aspirando fino all’ultimo a mantenere la propria dignità».



C’è anche un approccio di tipo religioso? «Quest’anno è prevista la docenza del mio maestro, il professor Severino, che discuterà il tema dell'elaborazione del senso della vita in funzione del ricordo, dell'eternità. All’interno di tale percorso, oltre a quelli filosofici, assumono rilevanza i contenuti delle discipline mediche, psicologiche, antropologiche e sociologiche, oltre a quelle religiose. L’obiettivo è dare risposte possibili dinnanzi a una sentenza senza appello: perché aver vissuto e perché ora dover morire, soffrendo». All’interno del master c’è un percorso di "Death education". In cosa consiste? «Parlare in modo esteso di morte riduce la paura e permette di offrire una valorizzazione della vita. E permette che il "rimosso", una volta creduto dimenticato, non continui a scavare voragini nella nostra mente in modo occulto».
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Il Gazzettino