Marghera. Sanuara, picchiata e insultata per il niqab. «Dobbiamo difendere la libertà di indossare il velo come in Iran»

MARGHERA - Il punto fermo è uno. Che sia garantito a tutti il diritto di esprimersi in ogni ambito. È quanto dice la Costituzione italiana e la legislazione figlia...

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MARGHERA - Il punto fermo è uno. Che sia garantito a tutti il diritto di esprimersi in ogni ambito. È quanto dice la Costituzione italiana e la legislazione figlia di quella Costituzione. «Dobbiamo difendere la libertà e il diritto all'autodeterminazione di ciascuno stabiliti dalla carta costituzionale». Non usa mezzi termini il sociologo Gianfranco Bettin, chiamato a commentare l'aggressione di Sanuara, la ventinovenne colpita perché giudicata colpevole di indossare il niqab.

LIBERTA' DI CULTO

«Dobbiamo difendere la libertà di culto, così come il diritto di indossare abiti indicati dalla fede, di sposare chi si vuole, di decidere della propria vita. Così come, allo stesso tempo - sottolinea Bettin - dobbiamo difendere quanti, e spesso sono giovani donne, siano obbligate a indossare il velo, siano costrette, da padri padroni, a rinunciare all'uomo che amano o siano obbligate a smettere di studiare. Sembrano due libertà diverse, in realtà si tratta di una sola libertà: la libertà di scelta che la nostra democrazia garantisce e che dobbiamo difendere».

Come si spiega il fatto, quindi, che in Iran centinaia di donne sacrifichino la vita pur di liberarsi dal velo e in Italia si difenda il velo integrale? «In Iran, dove vige una teocrazia ottusa e spietata - evidenzia il sociologo - stanno combattendo per essere liberi di decidere, se indossare il niqab oppure no. Stanno lottando per la loro autodeterminazione È questa la differenza».

Bettin giudica intollerabile l'atto di violenza subito, giovedì, dalla donna bengalese, madre di famiglia. «Fonti di stampa ora riferiscono che due, tre donne hanno aggredito una giovane che liberamente, senza costrizione, si era vestita coerentemente alla propria fede. Queste donne italiane hanno compiuto un atto violento che va perseguito. E se, al termine dell'indagine, verrà accertata l'aggravante razzista le responsabili di questa violenza andranno perseguite maggiormente perché sia monito a tutti. Nessuno deve costringere un altro. La persona umana è inviolabile».

LA CONVIVENZA

Sta di fatto che c'è da chiedersi se l'episodio avvenuto alla Cita rappresenti la punta dell'iceberg di un razzismo diffuso in città o un evento isolato. «Si tratta di un fatto grave di più persone con possibile movente razzista, ma distingue Bettin - non presenta le caratteristiche dell'odio razziale sistematico che, nei giorni scorsi a Verona, ha mosso le azioni dei militanti razzisti che si sono accaniti contro la comunità marocchina mentre festeggiava per la vittoria ai mondiali del Qatar sulla Spagna. A Marghera siamo abituati, sin dagli anni Venti, quando il quartiere è nato, alla convivenza: è una cittadina di convergenza di persone che giungono da altri luoghi e, negli ultimi vent'anni, da molto lontano. Siamo abituati a vivere le contraddizioni e a superarle. In questi momenti, certo, si può cogliere la sofferenza sociale legata ad una non ancora perfetta inclusione, ma i distinguo devono essere netti: la comunità bengalese è fondata sul lavoro alla Fincantieri così come nel settore dell'ortofrutta. Che non si insinui il sospetto che siano dediti ad altro: l'avversione verso stranieri che spacciano c'è e ci deve essere, ma la comunità bengalese si fonda sulla trasparenza. Anche quando, in passato a Marghera, alcune contraddizioni legate alla convivenza - conclude - sono esplose con aggressioni, compiute da giovinastri a componenti di comunità straniere, ne abbiamo discusso, con franchezza e alcune tensioni sono state superate così come avviene alla Cita, quartiere moderno con una comunità musulmana e cristiana attive, da anni, sulla via del dialogo».


 

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Il Gazzettino