Zennaro è stremato: malore in albergo, fatica a camminare. Versata cauzione di 800.000 dollari

Marco Zennaro al centro, con il padre e a sinistra Mohammed Yassim
VENEZIA - Ha passato la sua prima notte di (semi)libertà senza chiudere occhio. Poi, al mattino, quei forti dolori allo stomaco e alle articolazioni e la febbre. Nemmeno il...

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VENEZIA - Ha passato la sua prima notte di (semi)libertà senza chiudere occhio. Poi, al mattino, quei forti dolori allo stomaco e alle articolazioni e la febbre. Nemmeno il ritorno a una parvenza di normalità è stato semplice per Marco Zennaro. Saranno gli strascichi dello stress, sarà stata la tensione accumulata in questi mesi, allentata poi a sorpresa e all'improvviso: fatto sta che l'imprenditore veneziano, scarcerato lunedì mattina, ieri ha accusato un lieve malore mentre era nel suo albergo di Khartoum, in Sudan. L'uomo, ieri pomeriggio, è stato visitato da un'equipe di Emergency: gli è stato fatto un tampone per capire se potessero essere sintomi legati al covid (ma il test è risultato negativo) e varie analisi. I risultati arriveranno nei prossimi giorni. «È stanco e dolorante - commenta il padre, Cristiano, sempre al suo fianco in questi giorni - parla con un filo di voce, non si riesce quasi a sentirlo. Ha provato qualcosa di incommentabile, non possiamo fare altro che provare a stargli vicino». La sua, effettivamente, è stata una prova ai limiti della sopportazione: 74 giorni di prigionia, tra una cella del commissariato di Bahri e un'altra del penitenziario di Omdurman. Il 46enne adesso, per chi lo conosce bene, è quasi irriconoscibile: lui, uno sportivo di razza, un fisico forgiato calcando i campi da rugby e remando nei canali della laguna, adesso fatica persino a camminare. Colpa di quei giorni, settimane, mesi, trascorsi a dormire per terra, con una grata sopra la testa come soffitto, a temperature infernali intorno ai 50 gradi. Per riprendersi da quel trattamento, dal punto di vista fisico quanto da quello psicologico, ci vorrà del tempo.

 
IN AMBASCIATA

Ieri Marco e il papà hanno avuto un incontro con l'ambasciatore, Gianluigi Vassallo. La raccomandazione è stata quella di mantenere un profilo estremamente basso: pochi contatti, uscite limitate allo zero, rimanendo il più possibile all'interno della stanza d'albergo. La paura è che da un momento all'altro le milizie di Khartoum possano ripresentarsi e portarlo nuovamente in carcere: non ci sono avvisi di garanzia, non ci sono preavvisi, come si è ampiamente dimostrato nel corso degli ultimi due mesi e mezzo. In fin dei conti la partita è ancora lunga. Certo, il padre ha versato gli 800 mila dollari di cauzione, il denaro che era stato chiesto dai suoi accusatori come garanzia per poterlo fare uscire dalla cella in attesa della decisione del giudice sul processo civile (quello penale, invece, è già stato archiviato dal procuratore generale). L'udienza è stata fissata per domenica 27 giugno (in Sudan sono festivi il venerdì e il sabato). Poi c'è l'altro processo, quello che riguarda una causa presentata da una società di Dubai per una fornitura di trasformatori elettrici (secondo l'accusa) mai consegnata. Domani, da programma, dovrebbe esserci la decisione sul procedimento penale. Anche per questo secondo iter sarà previsto, come nel primo caso, il doppio binario penale-civile, ma non si sa ancora quando sarà l'udienza per quest'altro tipo di procedimento. Si sa, però, che l'azienda di Dubai chiede un risarcimento di 900mila euro. Soldi che la famiglia non ha intenzione di versare: il sospetto è che, ora, qualcuno stia cercando di approfittare della situazione per provare a incassare qualcosa dalla vicenda. La strada giudiziaria per la libertà di Marco, quindi, è ancora lunga e piena di insidie e di incognite. Di certo c'è che per ora, almeno, può attendere l'esito della giustizia in condizioni più umane: ieri sera, dopo tanto tempo, ha potuto rivedere la moglie e i figli in videochiamata. Un'iniezione di forza e fiducia che gli serviva come l'aria. 


RAPPRESENTANZA

Il caso viene ancora seguito da vicino dalla Farnesina, in particolare dal direttore generale Luigi Vignali che era stato inviato in missione a Khartoum dallo stesso ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Il ministro pentastellato, peraltro, è atteso in Sudan. La sua visita era stata organizzata prima che scoppiasse il caso Zennaro. Oggi, comunque, c'è un motivo in più per entrare in contatto con le istituzioni sudanesi. Si parla, come data, del 25 giugno, ma dalla Farnesina al momento non vi sono conferme. Se il suo arrivo fosse davvero previsto per quei giorni però arriverebbe in tempo per l'udienza decisiva di Marco. 


A casa la sua Venezia non ha smesso di lottare. La notizia della scarcerazione non è bastata ad ammainare gli striscioni esposti fuori dalle case. Tra queste ce n'é anche una un po' più in vista delle altre: quella dello zio famoso di Marco (o più precisamente, della moglie) l'ex sindaco Giorgio Orsoni. La pagina Facebook nata per chiedere la sua liberazione conta più di 8mila iscritti e le iniziative, assicurano, non si fermeranno. L'obiettivo è lo stesso sottolineato anche dal sindaco Luigi Brugnaro e dal presidente della Regione Luca Zaia: riportarlo a casa. 

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Il Gazzettino