Addio a Marco, da trapiantato ai polmoni scalò Rosa e Marmolada

Marco Menegus Tamburin
SAN VITO - Ne avevamo riparlato in inverno: l'idea di arrivare...

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SAN VITO - Ne avevamo riparlato in inverno: l'idea di arrivare alla capanna Regina Margherita, dopo avervi rinunciato la scorsa estate, non era mai tramontata». A farla tramontare non è stata certo la volontà ma un virus che ha messo fine alla lotta per la vita a cui Marco era costretto ad ogni respiro a causa della fibrosi cistica. Dipendente dell'Ulss di Belluno era figlio dell'edicolante Bice Gallo, diventata un volto noto della federazione contro la fibrosi cistica (Fcc). Dal padre Emilio Menegus Tamburin, guida alpina emerita e nome legato all'alpinismo eroico, aveva invece ereditato la passione per le vette e le scalate. Un amore per la scoperta che lo ha portato a cento metri dal rifugio più alto d'Europa e a Punta Rocca sulla Marmolada. Nato a Milano, cresciuto a San Vito di Cadore, dai 16 anni aveva vissuto a Belluno, mentre la sorella Giovanna vive a Milano. A sette anni gli era stata diagnostica la fibrosi cistica. Da allora era stato curato a Verona, dal centro creato dal Professor Gianni Mastella. Dal 2009 la situazione clinica si era aggravata e a settembre 2010 Marco aveva iniziato l'ossigenoterapia notturna, da gennaio 2011 era passato a farla 24 ore al giorno. A metà aprile 2012, all'ospedale di Padova, era stato sottoposto al trapianto di entrambi i polmoni. Un anno dopo quell'intervento aveva documentato sul suo profilo Facebook un pranzo con amici e parenti, con la moglie Irene alla quale ha sempre riservato parole dolcissime. Una festa per la seconda vita che gli era stata donata. Dopo quegli scatti di serenità ne sono seguiti un'infinità in cui a dominare era la gioia per i traguardi raggiunti. La forcella Giau a 13 mesi dal trapianto, la forcella Grande a 28 mesi dal trapianto. «Prima uscita, e nuova altitudine massima raggiunta da me, circa 3300 mt, insieme a mio fratello d'anima Pierluigi. Legati alla stessa corda da 23 anni. Giornata fantastica (ed il meglio è sempre l'abbraccio del mio Fiore quando ritorno a casa)». Scriveva il 2 gennaio del 2017. Parole che possono ridare speranza a chi come lui fin da piccolo è stato costretto a fare i conti con le battiture, i colpi ripetuti alla schiena per liberare i polmoni dal muco. O con le bombole d'ossigeno da cui, prima del trapianto, non si poteva separare. Ma è la scorsa estate che tutti hanno parlato di lui della sua decisione di raggiungere capanna Regina Margherita sul Monte Rosa: «Eravamo a cento metri - ha spiegato ieri Sergio Gabbio, suo accompagnatore nella scalata con gli sci e a piedi - ma abbiamo deciso di non rischiare e di tornare indietro». Una scelta coraggiosa, quella di rinunciare, che non ha sminuito l'impresa titanica. Oggi la cerimonia funebre in forma laica, al cimitero di Prade a Belluno alle 14 e 30.

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Il Gazzettino