Foscarini, il doge "Ciceròn" pioniere del nazionalismo

Foscarini, il doge "Ciceròn" pioniere del nazionalismo
VENEZIA - Marco Foscarini (1696-1763) centodiciassettesimo doge della Repubblica di Venezia, perfino un dissacratore come Giorgio Baffo lo definì "un Ciceron, che...

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VENEZIAMarco Foscarini (1696-1763) centodiciassettesimo doge della Repubblica di Venezia, perfino un dissacratore come Giorgio Baffo lo definì "un Ciceron, che gaveva la testa de Platon", e per il popolo fu un "Gran Doze" (per dieci mesi, dal 31 maggio 1762 fino al 31 marzo 1763); ma certo - sia per il periodo di dogado breve che non gli permise di mettere in atto delle vere poliche che per una certa inclinazione personale - non fu certo un innovatore; e mentre il mondo tutto attorno cambiava in ragione della "luce" portata dall'età dei lumi, Marco Foscarini, il doge letterato, fu sempre legato a una visione storica e sociale abbastanza conservatrice.

LA VITA DI FOSCARINI

La sua formazione e le sue conoscenze furono però di prim'ordine: entrato a nove anni in un prestigioso collegio gesuita di Bologna, fu un uomo di vasta cultura e di grande abilità nell'arte oratoria. D'altronde, era quello il destino che gli aveva riservato la famiglia: nato il 4 febbraio 1696 da Nicolò Foscarini del ramo di San Stae e Eleonora Loredan, si vide destinato alla vita politica, mentre al fratello maggiore Alvise fu assegnato il compito di proseguire la casata attraverso un matrimonio conveniente e di amministrarne il matrimonio. Di fatto, certamente per inclinazione personale, ma anche in funzione di questa "libertà" offertagli dalla sua condizione, non si sposò mai. Nel 1721 ebbe il suo debutto nella macchina politica e amministrativa dello Stato, con la nomina a Savio agli Ordini.

Cominciò così la sua lenta ma inesorabile scalata al potere, segnata anche da diverse opere letterarie, a iniziare da “Della perfezione della Repubblica veneziana”, dell’anno successivo, con la quale sosteneva l’opportunità di riaffermare la mitologia politica veneziana di matrice rinascimentale, sopravvissuta alle “ingiurie dei tempi” e agli “innopinati e strani casi”, che avevano colpito Venezia. Ben presto noto per la sua erudizione e il suo nazionalismo, fu soprannominato “Gran Cagnesco” per il fatto di essere sempre serio ma soprattutto di non tollerare critiche verso la Repubblica, nemmeno da parte di quei nobili di area progressista che ne denunciavano lo stato agonizzante e chiedevano riforme. Fu però uomo di vastissima cultura e di eloquio fluente, dei quali si trova traccia nei suoi discorsi, parte dei quali trascritti. Si narra che un giorno un suo discorso fu talmente accorato e coinvolgente che gli astanti si accorsero solo una volta che fu concluso che erano trascorse quasi quattro ore da quando era iniziato! Fu anche un grande conoscitore dei coralli, al punto che un altro letterato suo ospite frequente - Gasparo Gozzi - si lamentò in più occasioni come Foscarini facesse confluire ogni conversazione su quell’argomento. Nel 1732 fu inviato come ambasciatore presso l’imperatore Carlo VI, e dal 1737 al 1740 ambasciatore presso il papa, a Roma.
Nel 1741 riuscì, grazie anche alla mediazione papale, a ripristinare le relazioni diplomatiche tra Venezia e il re di Sardegna, rendendosi protagonista di un capolavoro di diplomazia. Nel 1745 divenne improvvisamente ancora più ricco: un suo parente privo di discendenza, Pietro Foscarini, lo nominò suo erede universale consegnandogli un patrimonio immenso. Assieme al denaro, Marco Foscarini ebbe al suo fianco anche la vedova, Elisabetta Corner, che si prodigò molto per la sua promozione politica e sociale; e malgrado l’affrettarsi delle malelingue di voler assegnare ai due una relazione clandestina, in verità l’unica cosa acclarata fu un senso di profonda amicizia, che perdurò nel tempo. Al ritorno dal decennio di ambascerie divenne procuratore di San Marco per meriti, e si dedicò interamente ai suoi studi.


Questo almeno fino al 1762 quando, alla morte del doge Francesco Loredan, risultò l’unico candidato e fu eletto quasi all’unanimità grazie alle generose elargizioni ai patrizi “poveri”. Era il 31 maggio ma già alla fine dell’estate Foscarini fu colpito da una grave malattia che lo portò alla morte dopo appena trecento giorni di governo. Fu sepolto nella tomba di famiglia nella chiesa di San Stae. Nel 1867 il Liceo di Santa Caterina, nato sessant’anni prima per volere di Napoleone, prese il suo nome, che porta ancora oggi: il Convitto Nazionale – Liceo Classico “ Marco Foscarini”.

 

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Il Gazzettino