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MESTRE - Una mano che Venezia si ostina a non stringere. Ma, semmai, a schiaffeggiare. È la “Mano” gigante, realizzata per la Biennale di Venezia del 1995, da Mario Irarràzabal, il più importante scultore cileno e uno dei più grandi artisti dell’America latina. Era stato lui a donarla alla nostra città che tutto fa, salvo apprezzarla. Tiziana Plebani, storica scrittrice, rilancia l’appello al Comune pretendendo che dimostri, una volta per tutte, «il rispetto dovuto ad una personalità dello spessore filosofico e culturale del calibro di Irarràzabal». Rispetto non pervenuto finora. Con punte di noncuranza che, da qualche mese, sfiorano l’assurdo.
OPERA DIMENTICATA
«La “Mano” adesso – denuncia Plebani - è prigioniera di una palizzata che delimita il cantiere della rotatoria in via della Libertà a pochi passi da Vega e Fincantieri. Non è più solo una mano ferita da decenni di abbandono, ma addirittura rinchiusa».
IPOTESI SCARTATA
Dal Comune, in realtà, spiegano che era stato ipotizzato di collocare la scultura proprio al centro della nuova rotatoria di via Libertà. Ipotesi poi scartata per il rischio di compromettere l’opera in un punto trafficato anche da mezzi pesanti. Così al momento la “Mano” rimane dov’è, in un’area peraltro che risulta di proprietà del Vega. «Eppure la nostra città - ribatte la scrittrice - è piena di monumenti significativi a cui la “Mano” potrebbe essere accostata. Basti pensare alle “Ali” dell’artista Massimo Scolari poste all’ingresso dell’ex-Cotonificio veneziano, sede dello Iuav. Anche lasciare a Porto Marghera avrebbe un significato - propone Plebani - a testimonianza della fatica del vivere e del lavoro, ma non così. Non in balia dell’abbandono e della reclusione. Bisogna restaurarla e costruire nessi, renderla visibili, dando onore al prestigio dell’autore».
LUNGO TRAVAGLIO
Ponendo fine ad un travaglio che dura da decenni: proteste dei residenti convinsero il Comune a spostarla dalla riva della Ca’ di Dio a Venezia a Porto Marghera nel 2000 con un “trasloco” finanziato dal consolato cileno. E, da allora, decine furono gli appelli per la loro manutenzione e gli interventi di Flavio Dal Corso e Gianfranco Bettin, quando erano presidenti di Marghera. Non sono mancate le cure da parte del Fablab (Laboratorio per la Cultura digitale” e degli studenti del corso di Tecnologie della conservazione e del restauro di Ca’ Foscari. Gli stessi referenti di Forte Mezzacapo, nel 2019, si erano candidati ad accogliere la “Mano” di Irarràzabal, ma la loro richiesta era caduta nel vuoto, malgrado la conferma, ottenuta dalla stessa Plebani, da parte dell’artista: il governo cileno aveva ufficializzato il dono della sua opera a Venezia che poteva, quindi, disporne senza impedimenti burocratici. «Quest’anno - conclude Plebani - sarebbe l’anno più appropriato per definire una collocazione dignitosa per la statua. Il Cile inizia un nuovo corso lontano mezzo secolo dal colpo di Stato voluto dal generale Pinochet, che l’11 settembre del 1973 aveva dato inizio a una sanguinaria dittatura durata 17 anni. Sarebbe un tributo al Cile e ad uno dei suoi figli più prestigiosi». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino