PORDENONE - Nel luglio dello scorso anno quando i quattro tecnici italiani dell’impresa emiliana Bonatti erano stati rapiti in Libia avrebbero dovuto dare il cambio...
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Fino a tre giorni fa quando nel "quartier generale" libico della Bonatti, dove in questi giorni tutti i dipendenti sono assediati, è arrivata la tragica notizia della morte di Salvatore Failla e Fausto Piano. E poi invece, ieri mattina, quella della liberazione degli altri due colleghi, Filippo Calcagno e Gino Pollicardo. «Non posso dire assolutamente nulla - ci ha fatto sapere Morson raggiunto telefonicamente nel pomeriggio di ieri nella sede libica della società -. Sono stati giorni e ore di pesantissima angoscia per quello che sta accadendo. Oggi (ieri, ndr) possiamo solo tirare un sospiro di sollievo e gioia per gli altri nostri due colleghi liberati. Non me ne voglia - aggiunge il manager prima di chiudere la telefonata - ma proprio non posso assolutamente aggiungere altro». Angoscia e sollievo. Inevitabile che il pensiero del manager pordenonese va alle famiglie dei colleghi. Angoscia e preoccupazioni che hanno caratterizzato i lunghi mesi seguiti al rapimento.
Le notizie che arrivano dalla Libia hanno riportato la preoccupazione anche a casa Morson a Praturlone dove vive la signora Clara, la mamma di Dennis che ha 83 anni e che è quasi quotidianamente in contatto con il figlio. L’anziana donna guarda tutti i telegiornali, ma viene rassicurata anche dalle telefonate del figlio. «Anche se al telefono non parla mai di lavoro, a me basta sapere che sta bene. A sentire ciò che è successo si sta male. Spero che ora la situazione si risolva e che lui possa rientrare quanto prima», ha detto ieri la donna. Dopo il rapimento dei colleghi il manager non è più rientrato a Praturlone. Prima tornava ogni tre o quattro mesi. Così ha fatto per oltre trent’anni. La madre è orgogliosa del figlio al quale l’impresa per la quale lavora ha anche dedicato alcune pagine di un libro che racconta le difficoltà di lavorare nel Paese in cui nel 2011 è scoppiata la guerra civile. E da allora è diventato uno dei Paesi più rischiosi al mondo dove lavorare. Ma la passione di Dennis per la sua professione è grande. Lui che da bambino continuava a disegnare grandi gru dicendo che quando sarebbe diventato grande avrebbe lavorato con quei bestioni di acciaio. Un sogno che si è realizzato. E che negli ultimi mesi, da quando i suoi colleghi erano ostaggi dell’Isis, si era trasformato in un doloroso incubo. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino