«Vorrei solo che Giada potesse lavorare per un paio di ore a settimana. Magari in una pasticceria, il suo sogno. Senza stipendio. Invece l'attesa potrebbe durare anche 18...
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In questi giorni è stata contattata da mezza Italia. Mercoledì sarà negli studi de "La vita in diretta", la trasmissione di RaiUno. Non chiede la luna. Chiede solo di non dover superare ogni volta mille ostacoli. Sulla vicenda interviene anche l'Usl di Treviso. L'azienda sanitaria non c'entra. Il nodo sta nella legge. Ma in questi giorni è stata inevitabilmente accostata al caso di burocrazia.
«La visita medica a cui la ragazza deve sottoporsi per legge non è imposta per confermare che è affetta da sindrome di Down - spiegano dall'Usl 9 -. È richiesta, invece, per consentirgli di accedere all'inserimento lavorativo previsto per le fasce protette della popolazione. Per il percorso in tale inserimento, si rende necessario riconoscere la percentuale di invalidità in termini di riduzione della capacità lavorativa. Cosa che non risulta ancora rilevata». Per i minorenni non è previsto il riconoscimento del grado di invalidità.
Adesso Giada deve in sostanza recuperare la visita dei 18 anni. Purtroppo, però, il problema non sta solo qui. Perché prima della maggiore età e fino a ridosso dei 18 anni le persone con sindrome di Down vengono già sottoposte a una serie continua di visite. E non c'è nulla di automatico.
A febbraio anche la figlia neo-maggiorenne di Roberto Pizzolato, consigliere comunale del Pd ed ex presidente di Anffas Treviso, è tornata davanti alla commissione della Madonnina. Per l'ottava volta in 18 anni. «Sindrome di Down - ha scandito il padre - diagnosi congruente con le altre sette visite». Lui poi ha scritto al premier Renzi. Ma per ora non è arrivata risposta. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino