Maltrattamenti ai migranti, a processo i gestori della coop di accoglienza

Maltrattamenti ai migranti, a processo i gestori della coop di accoglienza
TAMBRE - Avrebbero gestito la struttura di accoglienza migranti di via Campei, 39, come dei veri e propri kapò. È per questo che i due referenti della cooperativa...

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TAMBRE - Avrebbero gestito la struttura di accoglienza migranti di via Campei, 39, come dei veri e propri kapò. È per questo che i due referenti della cooperativa Cisa di Tambre, Gianantonio Bona e la moglie albanese Migena Agolli sono finiti nei guai per il reato di maltrattamenti. Giovedì mattina la donna è stata ascoltata dal gup, Enrica Marson, nell'udienza preliminare che si è svolta in Tribunale a Belluno. Ha respinto con forza le accuse, difesa degli avvocati Erminio e Valentina Mazzucco dando una sua spiegazione a tutto. Alla fine però non c'è stato il proscioglimento e i legali, a quel punto, hanno chiesto e ottenuto il processo con rito abbreviato che si svolgerà il 9 maggio prossimo. Il caso scoppiò nel dicembre 2017, quando la Prefettura nelle verifiche alle ditte incaricate del servizio di accoglienza si accorse che le richieste che c'erano nel bando di affidamento non venivano rispettate. La cooperativa Cisa si vide revocato l'affidamento e venne anche sanzionata per il 10% del valore intero del servizio.


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La Prefettura segnalò anche il caso alla Procura, e partì l'inchiesta. I migranti, in tutto 6 che dormivano in camere da tre, vennero sentiti e raccontarono di quelle presunte vessazioni. La donna, come un vero e proprio kapò nazista li avrebbe comandati a bacchetta. Ordinava di fare le pulizia, di lavorare, portare legna e, quando lo decideva se non si comportavano dome dovevano sequestrava ai migranti i cellulari. Insomma non veri e propri maltrattamenti fisici, ma una sopraffazione psicologica, come quella di un capo sadico ai propri sottoposti. Migena Agolli, sentita dal giudice mercoledì, ha spiegato che quei 6 migranti (4 della Costa d'Avorio, un pakistano e uno del Mali) si erano coalizzati contro di lei facendo quasi branco. Ha dato anche la spiegazione del perché avrebbe preso i cellulari dei ragazzi: voleva vedere se un ospite che si era allontanato facendo perdere le proprie tracce li chiamava. E i lavori invece? Erano tutti retribuiti. Le pulizie infine venivano fatte a turno, ma se a chi spettava sistemare le stanze non lo faceva giocoforza il compito ricadeva sugli altri. E non erano certo contenti. Il processo si svolgerà a porte chiuse a maggio, con il rito speciale che consentirà di ottenere agli imputati lo sconto di un terzo della pena. Nessuno dei migranti è costituito parte civile. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino