Così il boss palermitano cercò di esportare la mafia in laguna

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MESTRE - Nel periodo in cui abitò a Mestre in regime di Sorveglianza speciale - poco meno di due anni - Vito Galatolo non solo continuò a gestire gli affari della famiglia mafiosa di cui era a capo a Palermo, ma cercò anche di esportare e radicare nel territorio veneziano «la forma mentis criminale propria della mafia palermitana e le collaterali conteressenze», mettendo in atto «un ipotetico tentativo di colmare un vuoto di potere criminale in laguna». Lo scrivono i carabinieri del Ros nella relazione conclusiva delle indagini condotte sull'ex boss dell'Acquasanta, ora diventato collaboratore di giustizia.


GLI AMICI VENEZIANI - I militari dell'Arma hanno tenuto sotto controllo Galatolo per oltre cinque mesi, tra il 2013 e il 2014, ed è in base ai risultati di queste attività investigative che il pm antimafia di Venezia, Giovanni Zorzi, ha chiesto il rinvio a giudizio di due veneziani, ritenuti i principali referenti di Galatolo in laguna: Otello Novello, 73 anni (detto Coco cinese per i lineamenti del suo volto) e suo cugino, Stefano Franzanchini, 60 anni...

 
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Il Gazzettino