Anziani ancora “prigionieri” come nel lockdown. Appello dei familiari

La Residenza Anni Azzurri di Favaro
MESTRE - «Per i nostri cari, vivere, è diventata una pesante disperazione senza fine». Si leggono queste parole nella lettera aperta scritta da un gruppo di...

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MESTRE - «Per i nostri cari, vivere, è diventata una pesante disperazione senza fine». Si leggono queste parole nella lettera aperta scritta da un gruppo di familiari di ospiti della residenza per anziani Anni Azzurri di Favaro. Destinatari il presidente del Veneto Luca Zaia e il direttore generale di Ulss 3 Serenissima Giuseppe Dal Ben. «Sono passati oltre sei mesi dall’inizio del lockdown - esordisce lo scritto - e poco è cambiato nelle Rsa del territorio veneziano». Le famiglie denunciano il fatto di non aver mai potuto accedere all’interno della struttura, ma solo nel giardino, dove da luglio, muniti di mascherine e separati da un plexiglas che li colloca a tre metri di distanza, possono incontrare i propri cari per mezz’ora due volte alla settimana. 

NUOVE MISURE Non solo. A breve gli incontri saranno spostati dal gazebo all’”acquario”, con ospiti dentro e parenti fuori. «Ovviamente non possiamo abbracciarli - prosegue la lettera - né portar loro qualcosa da casa, e nemmeno prendere una bibita o un gelato insieme, insomma, quelle cose minime della vita di relazione non sono concesse». Il divieto di entrata porta inevitabilmente con sé delle conseguenze, effetti pratici che prima della pandemia non erano in discussione. «Non possiamo verificare le situazioni ambientale e igienico-sanitaria, per la gestione del vestiario e della biancheria, e neppure partecipare alle attività ricreative».
NIENTE VITA SOCIALE Da sei mesi, dunque, la vita con le famiglie per questi anziani è sostanzialmente finita. «Vorremmo che Lei, signor Presidente, facesse una profonda riflessione, per comprendere se per sopravvivere sia giusto eliminare tutte le cose che messe assieme costituiscono la “vita” di una persona». La missiva a questo punto propone dei termini di paragone. «Seguendo questa logica - si legge - gli studenti non dovrebbero andare a scuola, non essendo garantiti al 100%, non dovremmo usare i mezzi pubblici, o andare al lavoro». E poi domande retoriche: «Gli anziani che vivono in casa propria non vanno forse a fare la spesa, non vedono forse figli o nipoti, non festeggiano ricorrenze? Qualsiasi attività umana - aggiungono - comporta una componente di rischio, perfino quelle casalinghe, lo sport, andare al ristorante o in bicicletta, le relazioni sentimentali; eppure tutti vogliamo vivere, e nessuno si barrica in casa per paura di questi rischi. Se tutti stessimo rinchiusi e isolati come gli anziani nelle Rsa il mondo sarebbe finito nel febbraio 2020». 

PROBLEMA IGNORATO I mittenti s’interrogano inoltre sul motivo per il quale, secondo loro, mass media, talk show, dibattiti politici non parlano più di questa situazione, fornendo una provocatoria e amara soluzione: «Forse perché i “vecchi” e i “malati” non meritano più di avere affetti e sentimenti? O perché non possono far sentire la loro voce di protesta? E a noi che ogni mese paghiamo rette non proprio economiche, talora con grossi sacrifici, senza poter controllare la qualità dei servizi, chi ci salvaguarda»? I familiari evidenziano di aver segnalato più volte delle «anomalie, anche conseguenti alla manifestata carenza di personale». Il loro intento, tuttavia, non è naturalmente quello di ottenere l’apertura incondizionata della struttura, bensì l’adozione, «come dichiarano noti e stimati scienziati e specialisti», di presidi sanitari che possano proteggere dal pericolo Covid. «Se ciò che a tutti è concesso, con adeguati accorgimenti e precauzioni, agli anziani delle Rsa è negato, è “morale” tutto questo»? La lettera si conclude definendola «una grave situazione così prolungata che richiedeva un doveroso approfondimento sanitario, sociale, umano e», appunto, «morale. Vede, signor presidente, la vita è questa, con le sue bellissime cose, con le relazioni sociali, affettive e familiari, e pure con quei rischi che sono insiti nel vivere quotidiano. L’alternativa è la reclusione coatta che trasforma la vita in una indesiderata sopravvivenza. Perché - è la domanda finale - neppure con quei test rapidi, neppure con quei tamponi che, come dice il prof. Grisanti, costano 2,5 Euro, neppure indossando mascherine, visiere, guanti e tute “ad hoc”, perché nemmeno con tutto questo possiamo accedere al luogo dove vivono i nostri cari?». Gli ospiti di Anni Azzurri e i loro familiari aspettano una risposta. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino