Lo scrittore maledetto Frederick Rolfe, tra stravaganze e leggende

illustrazione di Matteo Bergamelli
VENEZIA - L'inglese “italianato” è come un diavolo incarnato, cita un antico motto dei tempi del Grand Tour, che descrive la folle infatuazione per il Bel...

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VENEZIA - L'inglese “italianato” è come un diavolo incarnato, cita un antico motto dei tempi del Grand Tour, che descrive la folle infatuazione per il Bel Paese che spesso coglieva gli anglosassoni. Ma Frederick Rolfe, alias Baron Corvo, il tormentato scrittore inglese che trascorse i suoi ultimi anni in laguna ed è sepolto a San Michele, fu molto più che “italianato”: fu “venezianato”.

Approdato a Venezia nel 1908, dilaniato da una paranoia religiosa che lo spingeva a vivere la sua omosessualità come una maledizione, visse in città tra l’ammirazione che le sue opere suscitavano e il ribrezzo per l’abiezione delle sue azioni, impegnato com’era – per guadagnare qualche soldo – a procurare incontri con giovani adolescenti a ricchi turisti in cerca di emozioni proibite.

Frederick William Serafino August Lewis Mary Rolfe era nato a Londra nel 1860, figlio di un produttore di pianoforti; convertitosi al cattolicesimo con l'intenzione di diventare sacerdote, fu però giudicato inadatto per i suoi comportamenti irregolari. A Venezia non esitò ad accompagnarsi con alcuni giovani gondolieri, quasi tutti minorenni; malgrado questa pratica esecrabilissima (sulla quale allora non esisteva la sensibilità odierna) fu uno dei pochissimi stranieri dell'epoca a non fingere di non conoscere la reale condizione di povertà di questi giovani veneziani, alla base della loro celebrata “disponibilità”.

Uno dei suoi romanzi più celebri – un'autobiografia fantastica – si intitola Adriano VII, e racconta di un oscuro letterato inglese che viene eletto papa, tentando di rifare il mondo a sua immagine. Assieme alla scrittura, Rolfe si dedicò alla pittura di immagini devozionali e alla fotografia, in particolare di nudo maschile.

Un personaggio del genere, tormentato e introverso, visionario ed eccentrico, non poteva che entrare nella leggenda “nera”: si dice che nel luglio del 1910 volle sfidare una credenza veneziana riguardante una misteriosa calle della città, i cui mattoni si ritenevano impastati con bile di strega. Questo luogo aveva la capacità di respingere le persone negative. Fatti pochi passi cadde al suolo tramortito, colpito da un malore. Hugo Pratt, nel suo Favola di Venezia, fa cercare a Corto Maltese la “Clavicola di Salomone”, un talismano magico del quale parlano gli oscuri appunti di Baron Corvo.

Rolfe fu capace di prodigarsi per raccogliere aiuti destinati alle vittime del terremoto di Messina e nello stesso tempo vagabondare per le calli della città alla ricerca di amori inconfessabili; di spendere l'intero anticipo di un editore girando in gondola a quattro remi tra pelli di leopardo e poi dormire nella sua barca dopo aver finito tutti i soldi; ma soprattutto di litigare con la maggior parte delle persone che provavano ad aiutarlo: quando morì Lady Enid Layard, riferimento della comunità anglo-veneziana nonché moglie dell'archeologo scopritore di Ninive, Henry Austen Layard, Baron Corvo seguì il corteo funebre lungo tutto il Canal Grande urlando alla defunta epiteti irripetibili.


Morì il 25 ottobre 1913, in completa povertà, e il console inglese si affrettò a gettare in acqua fotografie e documenti dello scrittore maledetto. Ma non tutto andò distrutto: si salvò l’ultimo dei suoi romanzi, Il desiderio e la ricerca del tutto, che fu pubblicato però solo nel 1936, per evitare che qualcuno dei protagonisti dell’epoca in cui fu scritto potesse riconoscersi. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino