Lorenzo Tomasin, docente di filologia romanza all'università di Losanna rilancia il dibattito: «Pur facendo riferimento alla Toscana, l'italiano è...
Accedi all'articolo e a tutti i contenuti del sito
con l'app dedicata, le newsletter e gli aggiornamenti live.
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Leggi l'articolo e tutto il sito ilgazzettino.it
1 Anno a 9,99€ 69,99€
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Rinnovo automatico. Disattiva quando vuoi.
L'abbonamento include:
- Accesso illimitato agli articoli su sito e app
- La newsletter del Buongiorno delle 7:30
- Tutte le newsletter tematiche
- Approfondimenti e aggiornamenti live
- Dirette esclusive
LA STORIA
La lingua veneta non esiste, esisteva invece la lingua veneziana, ma oggi anche il veneziano si può considerare un dialetto. Lo sostiene Lorenzo Tomasin, veneziano, docente di filologia romanza e di storia della lingua italiana all'università di Losanna, autore del fondamentale Storia linguistica di Venezia (Carocci) e che ora progetta un vocabolario storico-etimologico del veneziano. Si tratta del complemento del Dizionario del dialetto veneziano di Giuseppe Boerio: di ogni voce riportata in quell'opera saranno specificate la storia e l'etimologia. Partiamo dal veneziano. Tomasin spiega che esistevano numerose varietà linguistiche sviluppate localmente dal latino. «Alcune di queste varietà», osserva il linguista, «hanno fatto più carriera di altre, sono state messe per iscritto molto presto e questo consente di ricostruirne dettagliatamente la storia. Il veneziano era correntemente usato, almeno nella lingua parlata, da uno stato. I documenti si compilavano in veneziano fino al XVI secolo e anche dopo lo si ritrova in qualche forma. Marin Sanudo, a inizio Cinquecento, scriveva in veneziano o in italiano? La risposta non è univoca, tanto che i suoi testi sono stati usati per comporre il Dizionario storico della lingua italiana.
ALLA CADUTA DI VENEZIA
DIVENTARE LINGUA
VENETO CONCETTO MODERNO
«Aggiungo», ribadisce Tomasin, «che quello di Veneto è un concetto moderno. Ai tempi della Serenissima veneto significava semplicemente veneziano, il dialetto veneto era sinonimo di veneziano, il Veneto è un nome di fatto creato assieme alla regione amministrativa dopo l'ingresso nel regno d'Italia. Altrove è andata diversamente: in Piemonte esiste una varietà comune, certo dominata dal torinese, ma che viene riconosciuta come piemontese anche a Cuneo o a Asti. In Veneto non è accaduto nulla del genere. Parlare di un idioma veneto unico oggi è fuori dalla realtà: per avere una lingua c'è bisogno di un minimo di stato di servizio». Ora veniamo alla lengoa vèneta che sembra tanto affascinare. «Sono stato più volte consultato da enti pubblici», precisa Tomasin, «e ho sempre risposto che nel Veneto c'è un dialetto che ha una storia enorme, con un vocabolario, quello del Boerio, che tutto il mondo ci invidia. Che senso ha scalzarlo con una varietà inventata oggi e frutto di una mescolanza artificiale, un missioto? Almeno il romancio è legato a una delle varietà esistenti. Questa lingua non è parlata da nessuno. Se si entra in una biblioteca, quanti testi si trovano in lingua veneta? Due? Tre? In padovano? Qualche decina, soprattutto grazie a Ruzante. In veneziano? Centinaia. Vogliamo cominciare oggi? Benissimo, però ci vediamo tra cinque secoli. La lingua veneta sta al veneziano come l'esperanto sta al latino: una bellissima idea, ma il latino era già lì da duemila anni».
IL LINGUISTA SCOZZESE
Tra i fautori della lingua veneta è spesso citato il linguista scozzese Ronnie Ferguson, che Tomasin ha naturalmente letto (il testo è in inglese, fra l'altro). «Ferguson sa che il veneziano medievale», spiega Tomasin, «ha caratteristiche che lo distinguono rispetto alle varietà vicine, e le spiega come frutto della mescolanza di popolazioni di lingue diverse che affluirono in laguna per dare vita alla città. Un'ipotesi plausibile. Ma l'equivoco è confondere l'idea del veneziano originariamente misto con un veneto moderno misto. Prendere un pezzo di qua, un pezzo di là, un pezzo dall'iperuranio, è cosa ben diversa, artificiale, rispetto alle mescolanze che avvengono naturalmente e in tempi lunghi. Si può provare, beninteso: ma credo poco ai miscugli realizzati in internet da parte di qualche apprendista stregone della linguistica».
© RIPRODUZIONE RISERVATA Leggi l'articolo completo
su Il Gazzettino