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VENEZIA - È un piccolo scoop storico quello che troverete nel libro allegato nel "Gazzettino" da sabato 4 marzo 2023, in edicola a 7,90 euro più il costo del giornale. Si tratta dell'incarico ufficiale di boia della Serenissima: è la prima volta che salta fuori dagli archivi. Si sapeva che qualcuno ce ne doveva essere, visto che a Venezia, come negli altri stati d'antico regime, si eseguivano condanne a morte, ma finora non era mai stato trovato alcun atto tra li documenti sopravvissuti alla caduta della repubblica. L'autore della scoperta è Davide Busato, storico, archeologo, che ne parla in "Boia, sicari e sbirri. I mestieri neri della Serenissima", (Dario De Bastiani editore).
«Attorno al 1750», spiega Busato, «la magistratura dei Giudici del Proprio ebbe incarico di pubblicare nelle galee e nelle prigioni un proclama per trovare un boia.
CARTE D'ARCHIVIO
Maggiori particolari emergono dalle carte conservate nell'Archivio dei Frari, nel fondo dell'Avogaria de Comun, relative alla condanna a morte, il 27 giugno 1713, di Antonio Codon dalle Cadoneghe, di Cividal di Belluno. «Da quattro anni non si eseguivano più sentenze capitali», osserva Busato, «quindi era necessario cercare un boia disposto a eseguire queste. Nelle carceri di Brescia viene individuato Vessanzio Ferrari: gli si promettono una paga e la libertà. La seconda lettera informa che il candidato boia viene scortato da Brescia da quattro guardie e da un tale Campagnol Gospech che ha ordine di attendere l'esecuzione della sentenza prima di riportarlo in carcere. Si giunge al 12 luglio. L'ultimo tassello ci viene fornito dalla pessima esecuzione dell'incarico. Già Giuseppe Tassini aveva raccontato che il giorno della condanna il boia aveva sbagliato la lunghezza della corda ed era stato perciò redarguito da un gondoliere. Il condannato era un ragazzino particolarmente esile, Ferrari, privo di esperienza, non aveva predisposto bene il nodo e la lunghezza della corda. Il giovane muore soltanto dopo una lunga e dolorosa agonia e i gondolieri si scagliano addosso al boia che rischia di finire linciato».
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Il Gazzettino