«Ti scrivo dal fronte russo», nelle lettere la guerra di un emigrato veneto arruolato nella tragica spedizione dell'Armir

Enrico Giuseppin al mortaio insieme all'amico friulano Giuseppe Sartor
Il tesoro era lì, neanche tanto nascosto, in un moltitudine di valigette; cartelle e scatole piene di lettere e altri documenti. Lettere ricevute, ma anche copie di missive...

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Il tesoro era lì, neanche tanto nascosto, in un moltitudine di valigette; cartelle e scatole piene di lettere e altri documenti. Lettere ricevute, ma anche copie di missive spedite. Un vero e proprio archivio della memoria che ha permesso ai protagonisti di recuperare parte della loro storia familiare e sociale. E proprio quelle lettere, divenute preziose testimonianze sono alla base della storia che fa rivivere Enrico Giuseppin, nato nel 1921 a Teglio Veneto nel cuore del Veneto Orientale, emigrato nei Paesi Bassi a otto anni, con la sua famiglia in cerca di speranza e di lavoro. Come sosteneva lo storico Marc Bloch sono le persone comuni «il vero motore della storia». Ma non solo. È toccato al figlio di Enrico, Paolo raccogliere questo prezioso testimone, recuperando tutti gli scritti, catalogandoli e dando loro un senso storico. Ne è uscito così un libro Carissimo figlio. La guerra di un emigrato italiano in Olanda, pubblicato da Nuovadimensione (Ediciclo Editore Srl).


DAL VENETO ORIENTALE
Giuseppin parte così bambino dal Veneto orientale per L'Aja, in Olanda. Lì lavorava il padre Luigi, artigiano terrazziere Enrico alunno appassionato e brillante, si distingue negli studi tanto da ricevere dal Console italiano di Rotterdam una medaglia d'oro con il certificato di migliore allievo della scuola. Integratosi nella società olandese, trascorre la sua adolescenza tra le difficoltà economiche imposte dalla Grande depressione e un impiego nell'Ufficio conti correnti postali olandese fino al febbraio 1942, quando viene richiamato dal consolato italiano per la valutazione d'idoneità al servizio militare. Inevitabile l'arruolamento. E nella stessa estate del 42 è costretto a partire per la Russia con la tragica spedizione dell'Armir (Armata italiana in Russia). Sono mesi terribili: la resistenza sul Don durante il gelido inverno e la Grande ritirata all'alba del 43.


IL RICORDO
Oggi Paolo Giuseppin, italiano di terza generazione in Olanda racconta: «In famiglia mio papà raccontava sempre della sua esperienza in Russia durante la guerra e ci diceva di aver messo tutto per iscritto in alcuni quadernetti. Vent'anni dopo la sua morte li ho ritrovati e, spinto da diversi amici e familiari, non appena ho trovato il tempo, ho iniziato a leggerli». A poco a poco queste memorie sono diventate un vero e proprio archivio diventando anche una pubblicazione in olandese. Quello che emerge con forza è la lucidità di Enrico Giuseppin, sia pure in momenti difficili, delicati e tragici della sua vita da militare nel raccontare quello che gli accadeva intorno. I suoi racconti, in prosa semplice, senza sbavature, ma con tutto l'interesse di narrare quello che gli accadeva intorno spaziano dal tema dell'emigrazione a quello della povertà, dalla solidarietà all'importanza di esternare le proprie emozioni. Assieme al dato grezzo, rappresentato dalle testimonianze scritte stesse, si distingue poi il rigore storico con cui queste vengono trattate: Carissimo figlio infatti intende essere aderente al contesto politico e sociale in cui le vicende si sono sviluppate. «Nonostante la mia formazione sia giuridica (conseguii la laurea in giurisprudenza nel 1986) - confessa Paolo -, ho studiato per cinque anni la storia dell'Italia del 900 e in particolare del fascismo e dei conflitti mondiali. Questo per cercare di cogliere fino in fondo le dinamiche geopolitiche che costrinsero mio padre, assieme ad altri milioni di persone, ad affrontare la guerra».


ITALIANI ALL'ESTERO
Inoltre, Carissimo figlio dimostra di essere di più anche per l'umile volontà di condividere con il lettore alcuni insegnamenti legati all'esperienza del protagonista: «una delle intenzioni dietro al libro è riportare alla memoria degli italiani e degli olandesi una storia quasi dimenticata: quella dei tegliesi e dei friulani emigrati a L'Aja. Queste comunità si trovavano a cavallo tra due culture, due mondi e ciò che tento di fare con il libro è mostrare come questi si possano unire. Per questo definisco Carissimo figlio un libro bi-culturale e penso possa offrire degli spunti di riflessione sul tema dell'immigrazione e delle minoranze nazionali in un paese». Paolo Giuseppin chiosa: «Leggendo le memorie di mio padre - osserva - era come se un monito mi si presentasse davanti, distinto e potente come un grido: cogliere il valore della fratellanza umana, di quel legame che unisce le persone indipendentemente dal fatto che si conoscano oppure no. Ho scelto Carissimo figlio come titolo perché le lettere di mio nonno Luigi a mio padre Enrico, che sono l'altra faccia della relazione familiare, coincidono forse con il punto più nitido in cui il legame emerge, prevalendo su un'epoca in cui non si usava parlare delle proprie emozioni».


APPELLO ALLA FRATELLANZA
E poi il valore della fratellanza che diventa punto centrale al momento drammatico della ritirata di Russia. «C'era l'amicizia tra i commilitoni - spiega ancora Paolo - che Enrico incontrava via via. E poi le donne ucraine che non negavano un tozzo di pane, un sorso d'acqua o una patata bollita nè agli italiani nè ai tedeschi invasori della loro terra». E che cosa resta di tutte questo? Paolo Giuseppin parla di un ultimo insegnamento, che assomiglia quasi più a un consiglio: «Non è stato facile immedesimarmi, ma leggere le memorie di mio padre è stata un'immensa fortuna. Proprio per questo credo che scrivere di sé e del proprio passato debba essere un fenomeno più diffuso: dare a sé stessi la possibilità di riordinare il proprio passato significa dare agli altri una possibilità unica di riviverlo ed emozionarsi nel farlo».


IL TESTIMONE


Il lavoro di Paolo Giuseppin diventa così il compimento di una storia familiare e non, nel ricordo del padre riuscendo a dare sostanza e senso storico a quell'ampio mucchio di lettere, che sono testimonianza. Paolo Giuseppin si immagina così la soddisfazione del padre dopo questo lavoro di ricostruzione. «Penso che ne sarebbe felicissimo. Enrico, oberato di impegni tra famiglia e lavoro, non trovò mai il tempo per dare ordine ai suoi appunti ma ne aveva sempre avuto il desiderio. Uno di questi giorni andrò al cimitero e gli leggerò una frase dal libro non so ancora quale».

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Il Gazzettino