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VENEZIA - Enrico Di Giorgi non poteva immaginare che la lettera da lui scritta e mandata ai carabinieri a sostegno dell’ex sacerdote Massimiliano D’Antiga, mesi dopo sarebbe stato il grimaldello usato dall’Arma per puntare dritto a lui nelle indagini sul corvo del patriarcato di Venezia. Dopo settimane di impasse, pedinamenti e videoriprese di sicurezza difficili da interpretare, la svolta nell’inchiesta era arrivata quasi per caso.
L’INTUIZIONE
Come, è stato raccontato nella prima udienza del processo sulla diffamazione alla curia veneziana. «Riorganizzando gli atti, ci capitò una lettera di cui avevamo disponibilità perché c’erano altri fascicoli legati al mondo della curia. Era una lettera di Di Giorgi nella quale si denunciava al patriarca una persona che si era introdotta a messa disturbando. Di contro nella lettera si lodava il sangue freddo di D’Antiga - ha detto il capitano dei carabinieri Domenico De Luca, che a Venezia stava seguendo il caso - Per caratteri usati dalla stampante e stile di scrittura era simile ai volantini sui quali stavamo indagando. Chiedemmo così alla procura le celle del telefono di Di Giorgi, acquisimmo una foto della sua patente e scoprimmo che aveva appartamento a Venezia».
A identificare Di Giorgi era stato don Roberto Donadoni, parroco di San Zulian e San Salvador e successore di don D’Antiga. Chiamato in caserma, aveva dato sostanza all’intuizione della lettera collegando il nome di Enrico Di Giorgi con il volto ripreso dalle telecamere del Comune di Venezia in campo San Fantin, davanti alla Fenice, la notte tra il 5 e 6 agosto 2019.
IL PROCESSO
Il dibattimento si è aperto ieri pomeriggio alla cittadella della Giustizia di Venezia. In aula anche Enrico Di Giorgi, 76 anni, ex manager milanese alla Montedison di Marghera, accusato di diffamazione aggravata insieme a Gianluca Buoninconti, 55 anni, tecnico informatico di Milano e che invece non ha partecipato alla prima udienza.
Sarebbero loro i responsabili dei volantini affissi sui muri delle calli di Venezia tra gennaio e agosto del 2019 - ispirati da un mandante sconosciuto e firmati da un anonimo “Fra.Tino” - nei quali si narravano storie di prelati arraffoni, alcuni dei quali impegnati in notti orgiastiche dai risvolti pedofili, con un patriarca se non connivente, quantomeno intenzionato a chiudere un occhio e lasciar correre.
Quattro affissioni viste da tutti più una quinta: in quel caso i volantini erano stati strappati di mattina presto e a sera era arrivata una mail a Il Gazzettino per rilanciare le accuse.
“ERA A VENEZIA”
«Sapevamo che Di Giorgi era a Venezia nelle notti delle affissioni» ha detto in apertura d’udienza il comandante del Nucleo operativo di Venezia, Antonio Maria Cavallo.
L’INTRECCIO
La vicenda è legata a doppio filo con il trasferimento di Massimiliano D’Antiga dalle parrocchie del centro veneziano alla Basilica di San Marco. Il trasloco del sacerdote era stato osteggiato da fedeli - alcuni, ora, testimoni - che avevano manifestato per settimane contro il patriarca. Poi, all’improvviso, tra gennaio e agosto 2019 ecco i fogli diffamatori della guida della chiesa veneziana, di alcuni sacerdoti a lui vicini e di altri laici considerati nemici di D’Antiga, tanto da portare alla costituzione di sedici parti civili. Tra loro lo stesso monsignor Moraglia.
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Il Gazzettino