Fuori dalla città, nei boschi sopra le aree urbane, si sente meglio. Occorre avere la mente sgombra, il cuore incline alla poesia e la voglia di mettersi in cammino nel...
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Il giorno seguente racconta l’uscita con entusiasmo ed emozione. In qualcuno dei suoi libri aveva già fatto accenno alla tradizione, ma ha particolare voglia di parlarne perché anche i giovani sappiano, perché la memoria sia preservata. Cosa narra, in particolare, la leggenda? «I vecchi ertani dicevano che il 21 maggio a mezzanotte tutti gli alberi della terra emettono una vibrazione leggerissima ma assolutamente percettibile con l’orecchio, un fruscio come di vento tra le foglie. Non so per quale fenomeno della natura, questa era la credenza e io mi affido alle voci antiche degli artigiani del mio paese e ci credo. Tutte le essenze, dal cespuglio alla sequoia, hanno un tremolio delle foglie».
Cos’ha sentito?
«È stato come un vento leggero, ma in realtà nell’aria non c’era vento, le foglie e gli aghi vibravano. Sono stato fuori due orette circa, è stato bello. Credo che in un clima di tecnologia esasperata sentire ancora gli alberi cantare il 21 maggio sia un’esperienza piena di poesia».
Possono udirlo tutti? Magari il prossimo anno qualcuno ci prova.
«Sì, certo, ma naturalmente in città ci sono molti rumori di disturbo. Occorre salire in quota, allontanarsi dalle aree urbane».
Lei prima ha parlato di poesia. È un concetto che le sta a cuore, vero?
«Io credo ci sia bisogno, in generale, di più poesia nella vita delle persone e nelle nostre giornate. Stradivarius si dice tagliasse gli abeti di risonanza proprio la notte del 21 maggio, li tagliava quando cantavano e quel canto poi restava negli strumenti. Oggi nella realizzazione dei violini la tecnologia è elevatissima, chi li realizza non ne sbaglia nemmeno uno, eppure non suonano come quelli di Stradivarius, perché secondo lei? Perché manca la poesia».
Come recuperarla? Qual è il suo consiglio?
«Ho proposto a qualche lutaio che conosco di provare ad andare nel bosco a tagliare la pianta il 21 maggio, ma al giorno d’oggi nessuno accoglie più iniziative come questa. Occorre tempo, scegliere prima l’abete di risonanza e salire nel bosco all’ora giusta. Siamo troppo presi dagli impegni e dal produrre, non abbiamo tempo per la poesia. Un solo violino ben fatto all’anno, con la voce di Stradivarius è pura poesia».
Crede che dopo il Covid si viva, si lavori e si consumi con maggior consapevolezza?
«Credo di sì, in parte. Io vedo una tendenza a riappropriarsi delle cose semplici. Si dovrebbe non muovere l’auto la domenica, spostarsi a piedi quando possibile, non sprecare il cibo e usare il pane raffermo per la zuppa, come una volta. Bisogna mettere più etica e più poesia in ciò che si fa, ecco». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino