Le invenzioni di Angelo Emo il capitano della Serenissima che dominò a lungo il mare

illustrazione di Matteo Bergamelli
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RITRATTI VENEZIANI - Eccelleva nelle lettere, nella filosofia e nella letteratura latina – che rimase sempre una delle sue passioni – ma non ancora trentenne prese il comando di una nave da settantaquattro cannoni e presto divenne, grazie alle sue idee innovative, uno dei più grandi Capitani da Mar della Serenissima. Non poteva certo saperlo, ma sarebbe stato l'ultimo.


Angelo Emo, riformatore della flotta veneziana, tra il 1785 e il 1786 riportò la pace nel Mediterraneo sconfiggendo i pirati barbareschi, algerini e tunisini che attaccavano le navi veneziane inseguendoli fino nelle loro roccaforti di Sfax, Susa, Biserta, che bombardò ripetutamente arrivando a un passo dalla conquista di Tunisi, fermato solo dal Senato veneziano che gli negò i mezzi necessari.

Nel corso della sua carriera rapida e brillante, introdusse una innovazione bellica straordinaria, che risollevò le sorti dell'ultima flotta della Serenissima degna di essere definita tale, composta da cinque vascelli di linea e cinque fregate: si trattava di una serie di zatteroni assemblabili che portavano delle pesanti bombarde e che potevano essere trainati in zone a basso fondale come le imboccature dei porti nordafricani, dove le navi con pescaggio maggiore non potevano arrivare.

Nato nel 1731 nella casa di famiglia sulla riva De Ultra del Canal Grande, a San Simeon Piccolo (negli ultimi anni fu anche Procuratore De Ultra), Emo entrò giovanissimo – a 20 anni – nell'Armada della Serenissima, e preso dalla carriera non si sposò mai. Giunto anzi ai gradi più alti della flotta, propose l'introduzione di nuovi tipi di navi e riuscì a migliorare il livello degli equipaggi (aumentò per esempio gli stipendi degli ufficiali non patrizi).

Ma non alla sola flotta si limitò la sua spinta riformista: Tra il 1761 e il 1762, in qualità di savio ed esecutore alle Acque, curò la redazione di una nuova mappa della laguna veneta e diresse numerosi lavori di arginatura e manutenzione; cercò di riportare ordine ed efficienza nell'Arsenale, oramai in decadenza, facendo arrivare da Francia e Inghilterra nuovi modelli di navi da guerra (la sua intenzione era di riformare la flotta veneziana sull'esempio della Royal Navy).

Non aveva un carattere facile: durante una sosta sull'isola di Malta fu affrontato e insultato da diciannove Cavalieri gerolosimitani per il suo comportamento definito “altezzoso”; il fattaccio avvenne a bordo della “Fama”, la sua ammiraglia, e Angelo Emo pretese dal Gran Maestro dell'Ordine una punizione esemplare, ritenendo l'affronto fatto a lui a bordo di una nave veneziana “un affronto fatto alla Serenissima”: diciassette di quei cavalieri furono espulsi dall'Ordine e dall'isola; altri due furono condannati a venti anni di carcere.

Proprio Malta gli fu fatale: ai primi di marzo del 1792 vi morì infatti improvvisamente, a 61 anni, nel corso di una nuova missione. La sua salma, imbalsamata e condotta a Venezia a bordo della “Fama”, ebbe un funerale solenne a San Marco e fu tumulata nella chiesa dei Servi (oggi si trova a San Biagio, di fronte al Museo Navale): il Senato lo onorò con un monumento, realizzato da Antonio Canova.


Con un giallo finale: a lungo infatti aleggiò il sospetto che fosse stato avvelenato dal suo aiutante, Giacomo Parma, su istigazione del suo luogotenente Tommaso Condulmer, geloso della gloria del suo capitano, ambizioso di succedergli. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino