Treviso. Lavoro e giovani, l'esperto «Non vogliono più lavorare sempre nello stesso posto»

Giovani e lavoro, il punto con Alessandro Minello
TREVISO - Imprese che lamentano la difficoltà a trovare addetti, professioni fino a ieri molto ambite, come lo chef, oggi a corto di aspiranti, concorsi pubblici...

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TREVISO - Imprese che lamentano la difficoltà a trovare addetti, professioni fino a ieri molto ambite, come lo chef, oggi a corto di aspiranti, concorsi pubblici passati da migliaia di candidati a sessioni deserte. Anche nella Marca il mondo del lavoro sta assistendo a fenomeni inediti. Soprattutto per quanto riguarda le nuove generazioni di lavoratori. «Come nel calcio non esistono più le bandiere e i giocatori cambiano squadra ogni stagione, così sta succedendo nel mercato del lavoro», spiega Alessandro Minello, economista trevigiano, professore aggiunto di Economia e Politica industriale all'Università Ca' Foscari.


Il posto fisso non attira più?
«In realtà la stabilità, secondo una recente indagine di Infocamere, resta tra le prime tre motivazioni nella scelta di un'occupazione. I giovani però non sono più attratti dallo svolgere lo stesso lavoro per sempre e sempre nel medesimo luogo. Anche il salario non è più un elemento così predominante com'era per le generazioni precedenti».
Cosa conta?
«Poter avere prospettive di crescita e realizzazione personale, la qualità di vita, un ambiente professionale stimolante, fare esperienze diverse. Cambiare lavoro oggi non è visto come un problema o un fallimento, ma un'opportunità di arricchimento».
Anche chi un impiego ce l'avrebbe tende a cambiare più spesso?
«Veneto Lavoro rileva che nei primi sei mesi dell'anno ci sono state quasi 22mila dimissioni volontarie in provincia. I giovani cercano una continuità nella discontinuità. Di tipo settoriale, e dunque passano da un settore all'altro, ma anche geografico: fanno un'esperienza a Treviso, poi una a Bologna, poi a Milano, poi a Londra. E il mercato del lavoro è più fluido: sempre secondo i dati di Veneto Lavoro, due terzi dei giovani che si licenziano volontariamente, in media trovano una nuova occupazione in poche settimane».
Sono in aumento anche quelli che vanno all'estero.
«Una volta si emigrava per necessità, oggi per volontà. Nell'ultimo decennio dall'Italia sono emigrate oltre 250mila persone, una media di 20-30mila all'anno. Gli iscritti all'Aire (l'anagrafe dei residenti all'estero, ndr) 10 anni fa erano poco meno di 200mila, oggi sono quasi un milione. E se fino al 2005 la quota under 40 e over 40 più o meno si equivalevano , da lì in poi la componente di chi a meno di 40 anni è cresciuta in modo esponenziale. Dunque da quasi vent'anni l'Italia sta perdendo capitale umano. Considerando che ad andarsene sono le persone più attive, intraprendenti, con capacità creative, la perdita è doppia».
Il nostro sistema di piccole e medie imprese come risponde a queste nuove aspettative?
«La domanda di lavoro avanzata dalle imprese è spesso ancora di tipo tradizionale, puntando a fidelizzare. Prima c'era solo un divario di professionalità, ora si sta creando uno squilibrio di aspettative reciproche tra giovani e imprese».
Cosa dovrebbero fare le pmi per essere più attrattive?
«Oltre a raccontarsi meglio, devono introdurre funzioni digitali nei propri processi e mettere tra i valori aziendali green e sostenibilità».
Il divario è ancora maggiore nei confronti del settore pubblico?
«Nel pubblico impiego, a quasi tutti i livelli, le istanze di chi cerca e chi offre lavoro sono ancora più distanti rispetto al privato. Il posto pubblico è passato dall'essere una meta ambita all'immagine di un vincolo. Per questo tanti concorsi vanno deserti».
Insomma, non è vero che i giovani non hanno più voglia di lavorare?

«Certo che no, i giovani rivendicano la possibilità di costruire il proprio percorso lavorativo in modo autonomo e non lineare. Naturalmente, non è ancora una situazione generalizzata, ma la tendenza è chiara. In futuro, le imprese dovranno adeguare i propri processi alle discontinuità richieste dai lavoratori. Siamo di fronte ad una metamorfosi: non un'evoluzione, ma un vero e proprio cambiamento repentino di stato».
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Il Gazzettino