PULFERO - Nascosta nelle montagne delle Valli del Natisone (Udine) la Grotta di San Giovanni d’Antro è rimasta per decenni semisconosciuta al grande pubblico. Adesso, grazie...
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La storia e i misteri della grotta
La storia della Grotta di San Giovanni d’Antro è millenaria e piena di misteri. Non si conosce, ad esempio, l’incisione nella roccia, alla base di un lunga scalinata di 86 gradini, che raffigura un reticolo simile al gioco della tria, presente, peraltro, anche sulla “tavola di pietra” di Biacis di Pulfero o “banca” attorno alla quale si amministrava la giustizia in loco in passato.
Non si sa cosa simboleggiano, poi, i cerchi cigliati, “o soli”, affrescati in una delle due cappelle che si erigono all’ingresso della cavità. Chi ha realizzato, l’affresco della cosiddetta “sindone”? E a cosa rimandano e chi dipinse sulla roccia intonacata le stelle a sei punte, simbolo universale del fiore della vita e della Dea Madre?
Quel che è certo è che la grotta, come dimostrano i resti dell’Ursus Splaeus conservati in una bacheca interna, all’inizio del percorso speleologico turistico, fu usata come riparo dall’uomo fin dalla preistoria. Si ritiene che la cavità sia stata sede di un culto pagano delle acque, riti antichissimi cui poi, in epoca paleocristiana, subentrarono cerimonie di altra religione, come dimostrano le consacrazioni della cappella a San Giovanni Battista e a San Giovanni Evangelista, santi che segnano di norma il passaggio da culto eretico a cattolico. Il misterioso “mortaio” circolare scavato nella roccia, nel percorso interno, rimanda forse a una vasca battesimale ariana.
Al tempo dei Romani, II secolo a.C., la grotta era considerata imprendibile, a guardia delle Valli, e faceva parte di una serie di fortificazioni ai confini della “Decima Regio, Venetia ed Histria”. Sarebbe stata pure sede di una fondazione monastica bizantina per opera dei monaci cividalesi, tra il 533 e il 568, prima dell’arrivo dei Longobardi. E fu proprio quest’ultimo popolo, poi, a realizzare la prima cappella, entrando a destra, rimasta intatta in più parti, ricordata come “Santa Maria Antiqua” - ne esistono meno di 5 in tutta l’Italia -. Per realizzare i lavori, i longobardi si avvalsero di maestranze venute dall’Oriente.
A introdurre la festa della Purificazione nota in questo luogo, peraltro, furono con ogni probabilità monaci orientali, sirici o palestinesi, rifugiatisi in Occidente davanti alle invasioni arabe e alle lotte iconoclaste. Questi monaci, che i Papi inviarono ai Longobardi per convertirli al Cattolicesimo, portarono a seguito le loro venerate icone e le feste mariane diffuse nelle loro regioni. È possibile, quindi, che qualche monaco sia arrivato nella Grotta d’Antro portando con sé un’icona della Madonna. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino