«Infermieri e operatori socio sanitari: oriundi in corsia». Arrivano dal Brasile e hanno discendenti veneti

Infermiera (foto di archivio)
BELLUNO - Infermieri ed operatori socio sanitari che arrivano dal Brasile, discendenti veneti, a rinforzo dei bisogni nell'Ulss 1 Dolomiti. Magari d'aiuto...

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BELLUNO - Infermieri ed operatori socio sanitari che arrivano dal Brasile, discendenti veneti, a rinforzo dei bisogni nell'Ulss 1 Dolomiti. Magari d'aiuto nelle case di riposo. Intanto è solamente un’idea che, se realizzata, comunque non andrà ad intralciare il percorso e l'inserimento dei nuovi diplomati bellunesi. A mettere in piedi quello che potrebbe diventare un progetto pilota è il presidente dell'Associazione Bellunesi nel mondo (già presidente dell'Ente Provincia tra 1990 e 2004), Oscar De Bona. È lui ad entrare nei dettagli dell'operazione che, nei giorni scorsi, è stata posta al vaglio del commissario Giuseppe Dal Ben, in occasione della consegna, da parte dello stesso De Bona affiancato dal direttore Marco Crepaz, di un attestato in ricordo di Maria Grazia Carraro, direttrice generale deceduta un anno fa. 

Il legame con figli e nipoti dei nostri emigranti in Brasile è da voi sempre molto attenzionato: da dove arriva questa progettualità? 
«Tutto passa attraverso il circolo di Bellunesi nel mondo di Porto Alegre, nello Stato di Rio Grando do Sul, rappresentato da Stefania Puton, di origini feltrine. Insieme abbiamo coinvolto l'Università di Caxias do Sul, città che è, con i suoi 500mila abitanti, la seconda nello Stato. Il rettore, che di cognome fa Rech, è originario di Seren del Grappa. Vorrei precisare che sono città e paesi, come anche nello Stato di Santa Caterina, dove il 50% della popolazione ha antenati che provengono da quello che era il vecchio territorio della Repubblica Serenissima. Molti hanno, insomma, radici bellunesi, vicentine, trevigiane, o anche trentine. Ed hanno spesso già in tasca anche il passaporto italiano, fattore che, in quest'ottica, rappresenta una facilitazione».

Nello specifico come vi state muovendo in questa idea di unire Belluno e il Brasile in nome della sanità? 
«Il punto primo sta nella disponibilità del rettore dell'Università di Caxias do Sur ad attivare un corso per l'apprendimento della lingua italiana. I nostri discendenti, lo ricordo, parlano il cosiddetto “taliàn”, una varietà linguistica che è un mix delle parlate del nord Italia, con base il veneto».

Avete gettato le fondamenta, quindi.... 
«Si fa un passo alla volta. L'importante è che si sia avviato un dialogo. Intanto ne ho parlato con il direttore generale della nostra azienda sanitaria, Giuseppe Dal Ben, che mi è parso interessato. Se si arriverà ad un protocollo che porterà all'arrivo in provincia di paramedici, dagli oss ai tecnici di radiologia, alcune clausole di garanzia saranno, peraltro, di certo inserite».

Volete andare giù con prudenza, insomma, giusto?
«Occorreranno delle garanzie».

A cosa si riferisce questa cautela? 
«È scontato che verrà richiesta continuità nel servizio. Si vuole evitare che uno stia qui per soli sei mesi. Minimo alcuni anni, a mio parere».

Di quante persone stiamo, eventualmente, parlando? 
«Una decina, un piccolo gruppo pilota»

Drappello che, dunque, non coinvolgerà medici? 
«No. Vi sarebbero enormi difficoltà di carattere burocratico a livello “romano”. Non esistono, infatti, accordi bilaterali tra Italia e Brasile in tal senso».

L'Associazione Bellunesi nel mondo ha messo sul piatto il progetto. E adesso a chi passa la palla? 


«Con il commissario dell'Ulss 1 Dolomiti, Giuseppe Dal Ben, abbiamo condiviso alcuni punti, sottolineando come l'iniziativa possa essere di aiuto nella difficoltà di reperire alcune figure sanitarie. Ora lui vaglierà la proposta, cercando di capire se vi possono essere problematiche che vadano a rallentare l'attuazione del progetto».
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Il Gazzettino