In anteprima il libro della Tamaro: «Una fiaba per questi tempi confusi»

Susanna Tamaro
Una favola per raccontare questi tempi di inquietudine e smarrimento. Una fiaba che arriva a pubblicazione dopo due anni di intenso lavoro e che diventa il 23. libro di Susanna...

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Una favola per raccontare questi tempi di inquietudine e smarrimento. Una fiaba che arriva a pubblicazione dopo due anni di intenso lavoro e che diventa il 23. libro di Susanna Tamaro. "La tigre e l'acrobata" è una favola morale che segna l'apprendistato di una Tigre. «Era da molti anni che desideravo scrivere una fiaba anche per adulti, in questi tempi di inquietudine è quello che ci vuole per arrivare al cuore. È stato un lavoro lungo, per il quale occorreva entrare in un mondo altro, sconosciuto anche all'autore. Le fiabe raccontano l'essenza dell'uomo, danno una lettura della nostra vita e di quanto ci accade».

Qual è il nostro tempo?
«Quello del pensiero unico, ottuso e confuso. Si è persa la centralità e profondità della persona, incalzati dal divoramento del tempo. Guardi i bambini, sono tutti nevrotici».
Che apprendistato compie la protagonista della favola, la Tigre che vive nella Taiga?
«Impara a non fidarsi delle domande già fatte, compie un cammino di liberazione dal canone della sua natura: non vuole trovare un compagno, non vuole avere piccoli, né un regno. Cerca una risposta profonda alla sua inquietudine. In fondo è il cammino di conquista della libertà che ognuno di noi dovrebbe compiere nella propria vita».
Perché una tigre?
«Fin da bambina mi sentivo una tigre; in questo libro ho voluto indagare una parte di me mai elaborata. Volevo far uscire la mia tigre, un animale solitario, e il più potente della giungla. Anch’io sono sempre stata inquieta e non mi sono mai accontentata delle risposte, ho sempre rifiutato il potere, una maschera che priva della leggerezza».
Dopo aver imparato dalla madre il ritmo della vita e della natura, Tigre incontra l'acrobata. Cosa rappresenta?
«La capacità che abbiamo di staccarci della nostra parte più pesante, è il nostro spirito e la nostra grazia».
Lo stile narrativo asciutto e conciso, ha influenze dalla scrittura orientale?
«Fortemente: da trent'anni pratico le arti marziali con un maestro giapponese, mio padre parlava cinese. In questa favola è molto forte il ritmo orientale di secchezza e brevità, di narrazione profonda».
L'entomologia, di cui lei è grande appassionata, che rapporto ha con la scrittura?
«Condividono lo stesso processo mentale: in generale le scienze naturali richiedono una minuziosa capacità di osservare i dettagli con occhio distaccato per registrare quanto si vede nel mondo. Questo approccio nella scrittura è fondamentale».
Dal suo esordio nel 1989 a oggi come è cambiata l'editoria?
«Molto e in peggio. C'è stata una polverizzazione del mondo letterario e un impoverimento della lingua tanto che le persone non riescono più ad affrontare un testo con un pensiero complesso. Io stessa mi sono imposta tempi limitati da destinare al tablet. Quando iniziai, i manoscritti venivano inviati agli scrittori; ora alle agenzie letterarie. Il livello si è standardizzato, migliore rispetto a una volta ma pur sempre medio».
Lei ha lasciato il Nordest molti anni fa. Come guarda a questo territorio che sembra aver perso un’ identità?
«Probabilmente bisogna cercarne un'altra, per farlo occorrerebbe tornare a ciò che contraddistingue le persone: il grande rigore, la capacità di impegnarsi. Quello che non manca è la serietà».
Qualche progetto nuovo?
«Dopo 23 libri in 27 anni mi prenderò una pausa di due anni, e mi dedicherò alle mie api e alle camminate in montagna».
Qualche rimpianto?

«Avrei tanto voluto fare l'acrobata o la ginnasta. Adoro la loro abilità e quello che riescono a fare con il corpo». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino