ROVIGO Meno di un terzo delle imprese polesane è riuscita a mantenere la propria attività allo stesso livello che aveva prima dell’emergenza dovuta al...
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CRISI “RIDOTTA”
Anche da queste analisi emerge come il Polesine, pur flagellato dalla crisi, ha numeri meno pesanti rispetto al resto del Veneto. Meno pesante perché nelle analisi si sottolinea come gli indicatori del report Veneto Congiuntura, di Unioncamere Veneto, siano i più negativi da quando l’indagine viene svolta. Rovigo registra un calo inferiore rispetto al resto della regione, con un calo del 19,4% della produzione manifatturiera, meno pesante del meno 22,4 veneto, e del meno 13,4% sugli ordini interni, sempre “meno peggio” del meno 22,9 veneto, grazie soprattutto alla tenuta del settore alimentare. Decisamente male sul fronte degli ordini esteri: meno 28,1%,contro il 24,7% regionale.
Dal punto di vista delle localizzazioni d’impresa attive, in provincia di Rovigo a fine giugno sono 29.049, con una diminuzione rispetto a giugno 2019 di appena l’uno per cento, anche se quelle a conduzione giovanile calano dell’otto. È un effetto, si sottolinea, dovuto anche e soprattutto alle misure emergenziali come il blocco dei licenziamenti e i sussidi attivati. Solo a fine anno, si sottolinea, si potrà valutare il reale effetto-Covid sul sistema produttivo locale.
Sul fronte occupazionale, il dato di Veneto lavoro aggiornato a luglio indica la perdita di 1.805 posti in Polesine, rispetto ai 28mila di Venezia, 18mila di Verona, 6.900 di Padova, 5.100 di Treviso, 4.400 di Vicenza e 2.100 di Belluno. Dall’analisi della Camera di commercio emerge come l’80,3% del totale delle imprese della provincia di Rovigo ha mantenuto stabile il numero dei dipendenti nei primi sei mesi del 2020, una quota maggiore sia rispetto alla media regionale, il 74,5%, sia a quella nazionale, il 76,1%. Sono una fetta pari al 18% le aziende polesane che hanno dovuto ridurre i livelli occupazionali mentre l’1,4% li ha aumentati.
I SETTORI PRODUTTIVI
I settori dove l’occupazione ha avuto maggior tenuta sono stati i servizi informatici e delle telecomunicazioni (97,4%), i servizi avanzati di supporto alle imprese (96,7%) e le industrie della carta, cartotecnica e stampa (96,7%). Quelli dove si prevedono diminuzioni sono i servizi di alloggio e ristorazione (47,5%) e le industrie tessili, dell’abbigliamento e delle calzature (26,4%). Prendendo in considerazione le imprese che prevedono di proseguire l’attività, si legge nel rapporto, le azioni maggiormente adottate per la gestione del personale in conseguenza al lockdown sono state la cassa integrazione (Cig a zero ore per il 63,2% e a orario ridotto per il 19,7%), ferie e permessi (48,3%) e il lavoro agile (20,7%). Il ricorso alla cassa integrazione si quantifica in più di 6 milioni di ore tra gennaio e giugno in provincia. Il “lavoro agile”, invece, è stato utilizzato maggiormente dalle imprese tra i 50 e i 250 addetti, il 48,7%, mentre per quelle con meno di dieci scende al 13,3%. Ovviamente con profonde differenze da settore a settore. Il 9,9% delle imprese polesane dichiara di voler estendere ulteriormente il ricorso al lavoro agile e per le imprese esportatrici tale percentuale aumenta al 21,4%.
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Il Gazzettino