Venezia. Imprenditore turco arrestato per evasione fiscale appena sceso dalla nave da crociera: «Sono il cugino di Erdogan»

Il tribunale di Venezia
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VENEZIA - È arrivato a Venezia in crociera per trascorrere una vacanza romantica assieme alla moglie ma, appena sbarcato dalla nave, alla stazione marittima, è stato arrestato su mandato di arresto internazionale, emesso dalle autorità della repubblica dell’Azerbaigian. 


Da metà aprile, in attesa che si perfezionino le pratiche di estradizione, in carcere a Venezia si trova un importante imprenditore turco, Sukru Cakir, 58 anni, amministratore della Cakir Yapi, una delle più importanti imprese di costruzioni turche, accusato di non aver pagato le imposte in Azerbaigian per un ammontare pari a circa 431mila dollari, poco meno di 400 mila euro.
Comparso a palazzo Grimani per l’udienza di convalida di fronte ai giudici della Corte d’appello di Venezia, Cakir ha fatto sapere di essere un cugino del presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, circostanza che per il momento non ha avuto conferme ufficiali e che, in ogni caso, non costituisce un elemento di valutazione del caso per i giudici. La Corte ha ritenuta la custodia cautelare in carcere come «unica misura idonea a garantire la consegna», considerato che l’uomo non «è in grado di dichiarare o eleggere un domicilio in Italia».


LA DIFESA
Per prestargli la migliore assistenza legale è arrivato subito da Istanbul un avvocato, il quale siede in Parlamento nella fila della maggioranza presidenziale, che si avvale dell’assistenza dell’avvocato veneziano Mauro Serpico. I legali si sono opposti alla concessione dell’estradizione, per poi darsi da fare immediatamente per cercare a Cakir un domicilio a Padova, così da poter chiedere e ottenere per lui almeno la concessione degli arresti domiciliari, in attesa della decisione, per la quale i tempi non saranno brevi. Nel frattempo, in Turchia, i vertici dell’azienda si sono attivati per provvedere al saldo del credito fiscale vantato dalle autorità dell’Azerbaigian con l’obiettivo, evidentemente, di far cadere le accuse e la conseguente richiesta di estradizione.
L’evasione fiscale contestata, valutata con parametri italiani, non risulta particolarmente elevata e ciò fa capire la severità delle autorità dell’Azerbaigian per questo tipo di reato, a differenza di quanto accade nel nostro Paese, nel quale, nonostante l’ampia diffusione del fenomeno, gli evasori fiscali in carcere non finiscono mai, o quasi. 
I giudici della Corte d’appello sono in attesa che il ministero della Giustizia trasmetta loro il fascicolo contenente tutti gli atti dell’inchiesta che riguarda l’importante imprenditore (tradotti in italiano, e questo richiederà un po’ di tempo) per potersi pronunciare. La procedura di estradizione è gestita principalmente a livello amministrativo dal ministero. Ai giudici spetta una duplice valutazione di natura “tecnica”: accertare che il fatto per cui è stata chiesta l’estradizione sia previsto come reato anche dalla legge italiana e verificare che il carcere nel quale l’indagato sarà detenuto risponda ad una serie di requisiti che garantiscano il rispetto della sua dignità.


IL PRECEDENTE RUSSO


Dopo il caso dell’imprenditore russo Artem Uss, fuggito dai domiciliari in attesa di essere estradato negli Usa, ogni procedura di estradizione viene valutato con cautela e attenzione, se possibile superiore al passato. L’Azerbaigian non ha comunque il peso politico degli Stati Uniti, le cui proteste a seguito dell’evasione di Uss hanno costretto il governo a cercare giustificazioni alla fuga, avvenuta nonostante l’imprenditore russo indossasse il braccialetto elettronico. La quali totalità dei braccialetti elettronici che il ministero mette a disposizione sono privi del Gps, e dunque della possibilità di localizzare i fuggitivi. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino