«Imprigionato e torturato per undici giorni in Siria da uomini dei servizi segreti». Aperta un'inchiesta

Siria
VICENZA - Arrestato, imprigionato e torturato per undici giorni in Siria da uomini dei servizi segreti: è la denuncia presentata da Max Aderman, 47 anni, imprenditore...

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VICENZA - Arrestato, imprigionato e torturato per undici giorni in Siria da uomini dei servizi segreti: è la denuncia presentata da Max Aderman, 47 anni, imprenditore ed ex legionario di Vicenza, che ha fatto scattare l'apertura di una inchiesta della Procura di Roma. Si vogliono valutare le dichiarazioni dell'uomo, un passato legato anche al paracadutismo e ad attività di sicurezza in Africa. Aderman, che nel suo curriculum vanta anche il tentato avvio di un bar, ha riferito che la prigionia sarebbe durata dal 2 al 13 gennaio, dapprima in un palazzo dove avrebbe subito torture, quindi nella casa circondariale di Damasco, da cui è riuscito poi a uscire. Un rientro rocambolesco in Italia su un volo proveniente dal Libano.

La segregazione sarebbe avvenuta prima in un palazzo dove avrebbe subito torture, quindi nella casa circondariale di Damasco, da cui è riuscito poi a uscire. A catturarlo, secondo il suo racconto, sono stati sette militari armati di kalashnikov, in un agguato portato a termine con la complicità della fidanzata dell'uomo, Yara Muhrez, 38 anni, con cui viveva nella capitale siriana da settembre. E dalla quale voleva liberarsi dopo molti litigi pur di costruire in Italia un futuro di normalità, con una attività imprenditoriale che lo tenesse lontano da quella vita pericolosa di giramondo. Sempre bendato, denudato, lasciato senza cibo nè acqua, picchiato in continuazione in una cella minuscola Aderman avrebbe subito continui interrogatori, in particolare su Israele.

Per i suoi rapitori, supportati da un traduttore inglese, Aderman sarebbe stato una spia dei servizi segreti siriani. Poi il trasferimento in un carcere per detenuti comuni, sempre nella capitale siriana insieme ad altri 35 detenuti. È da lì sarebbe riuscito a farsi dare un telefonino per chiamare l'ambasciata italiana e tornare a casa attraverso il Libano. Il racconto dell'ex legionario ha molti punti da chiarire: «conoscevano tutto della mia vita , le mie missioni, i miei viaggi - rileva riferendosi ai suoi torturatori - mi hanno chiesto di raccontarla e se omettevo qualche particolare mi torturavano».

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Il Gazzettino