Clandestini, attivate 50 fototrappole mobili ai confini del Friuli per prendere i trafficanti della Rotta balcanica. Come funzionano i dispositivi

Foto d'archivio di una fototrappola
Si possono spostare, non sono dei presidi fissi. Quindi nonostante la loro distribuzione sia tecnicamente in capo al Comune di Trieste, c’è la concreta...

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Si possono spostare, non sono dei presidi fissi. Quindi nonostante la loro distribuzione sia tecnicamente in capo al Comune di Trieste, c’è la concreta possibilità che ad utilizzarle siano anche gli agenti delle forze dell’ordine che perlustrano il confine ad esempio in provincia di Udine. Oppure nel Goriziano. La notizia è quella attesa da tempo: dopo il completamento delle procedure burocratiche - e sono state particolarmente lunghe e tortuose - sono entrate in funzione le fototrappole acquistate a suo tempo dalla Regione per stringere il cerchio attorno ai trafficanti di esseri umani che alimentano la Rotta balcanica e quindi i flussi di migranti diretti nella nostra regione. 


L’ITER
Erano ferme nei magazzini della Regione. Acquistate e “congelate”. Nessuno le aveva richieste, per il timore che il caso diventasse l’assist per ricorsi e polemiche. Adesso però non si poteva più aspettare, e soprattutto si è trovato il modo di aggirare il problema e di impiegare la tecnologia tanto richiesta ancora anni fa e fino ad oggi mai impiegata. Le fototrappole incaricate di immortalare i transiti illeciti di migranti lungo la Rotta balcanica sono state “sbloccate”. Cinquanta, nel dettaglio, grazie al Comune di Trieste. Non sono però solamente dedicate al capoluogo, che comunque è uno dei centri di arrivo più importanti per quanto riguarda la Rotta balcanica. La dotazione, nel dettaglio, è ora totalmente delle forze dell’ordine. Quindi i dispositivi sono in funzione lungo 160 chilometri che tra Carso, montagne e boschi delimitano il confine tra il Friuli Venezia Giulia e la Slovenia. 


I DISPOSITIVI
Le fototrappole hanno un vantaggio: possono essere comodamente spostate e non occupano tanto spazio. Sono perfette per gli ambienti nei quali si vogliono piazzare, cioè i sentieri battuti dai passeur della Rotta balcanica. Si tratta di dispositivi che si attivano al passaggio delle persone e che consentono, grazie alla loro definizione, di costituire prove processuali ai danni dei trafficanti di persone che giornalmente approfittano della disperazione dei migranti per guadagnarci. Un dettaglio non da poco, perché se il governo Meloni dovesse davvero riattivare le riammissioni all’estero allora sarebbe fondamentale individuare con certezza chi passa illegalmente il confine. Il secondo vantaggio delle fototrappole che sono entrate in Friuli Venezia Giulia è dato dalla tempestività. I dispositivi sono collegati in tempo reale con i palmari degli agenti della polizia di frontiera, che potranno intervenire anche dove il pattugliamento diretto ad oggi è impossibile. La prima delibera era stata adottata dalla giunta regionale. Si trattava di un passaggio importante nella lotta ai trafficanti di esseri umani. Questo secondo chi, come l’esecutivo Fedriga, quei dispositivi li aveva voluti. Secondo i critici, invece, l’uso delle fototrappole lungo la frontiera con la Slovenia sarebbe uno strumento ai limiti della legalità.


I DUBBI


Qualche perplessità, però, non arriva solamente tra i naturali oppositori del governo regionale ancora in carica, ma anche dal Municipio di Trieste. I dubbi non riguardano affatto la direzione presa dall’esecutivo, che è quella di provare a limitare e a regolamentare i flussi migratori, quanto l’effettiva utilità della strumentazione tecnologica nei confronti di un fenomeno che porta migliaia di persone verso la nostra regione.  Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino