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Ha detto Antonio Tajani, ministro degli Esteri, sabato al Dubrovnik Forum: «Ogni giorno abbiamo problemi in Friuli Venezia Giulia con i migranti irregolari, dobbiamo fermare i trafficanti di persone». Non con le riammissioni informali, però, secondo il Tribunale di Roma, che ha condannato il ministero dell'Interno a risarcire con 18.200 euro un ex militare del Pakistan in fuga dai terroristi talebani, il quale a Trieste era stato bloccato dalla polizia e quindi respinto a catena prima in Slovenia, poi in Croazia ed infine in Bosnia, malgrado avesse manifestato la volontà di domandare la protezione internazionale. Sfuggito ancora alle violenze, l'uomo è tornato nuovamente in Italia e questa volta ha ottenuto lo status di rifugiato.
LA VICENDA
Assistito dalle avvocate Caterina Bove e Anna Brambilla dell'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione, il pakistano ha spiegato di aver lasciato il suo Paese d'origine nel 2018, dopo esser rimasto ferito in un attacco del gruppo terroristico Tehrik-i-Taliban Pakistan, temendo ritorsioni da parte sia degli estremisti che dell'esercito pakistano. A quel punto sono cominciate le sue peripezie lungo la rotta balcanica, con le tappe in Turchia, Grecia, Macedonia del Nord, Serbia e Bosnia, ma anche con nove respingimenti dalla Croazia e tre dalla Slovenia, finché il 17 ottobre 2020 è avvenuto l'ingresso in Italia attraverso il valico triestino di Basovizza, dove gli è stato prescritto «di firmare dei documenti di cui non gli è stato tradotto né spiegato il contenuto», senza dare seguito alla sua richiesta di asilo.
IL VERDETTO
A pagarli dovrà essere il Viminale, che in giudizio aveva sostenuto «la legittimità della pratica della riammissione informale di cittadini stranieri verso lo Stato membro dal quale hanno fatto ingresso, quando essi siano individuati nell'immediata prossimità spaziale e temporale dell'attraversamento irregolare della frontiera e quando ciò sia previsto da un accordo tra gli Stati interessati». L'intesa in questione, stretta fra Italia e Slovenia, risale al 1996 ma non è mai stata ratificata dal Parlamento, tanto che era già stata dichiarata illegittima nel 2021 e tuttavia è stata ripristinata a novembre del 2022. «La prassi delle riammissioni informali attuata in base a tale accordo viola diverse norme di legge», ribadisce ora il Tribunale di Roma, definendo contrari alla normativa i respingimenti «attuati dallo Stato italiano in mancanza di garanzie in ordine al rispetto dei diritti fondamentali delle persone respinte, a cominciare dal loro diritto a chiedere protezione internazionale, a non subire trattamenti inumani e degradanti e a non essere inviati verso luoghi dove corrano il rischio di subire tali pratiche». Vessazioni che, nel caso del pakistano, le autorità italiane non potevano non conoscere secondo il giudice Colla, in quanto già allora erano «numerosi e largamente diffusi i reportage giornalistici, i report delle organizzazioni non governative e le posizioni delle organizzazioni internazionali». Decisive in tal senso sono state le testimonianze rese dalla giornalista Elisa Oddone e dall'attivista Diego Saccora. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino