Il vecchio borgo con la case tutte di sassi che nasconde chili d'argento

Una casa di Nespoledo
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LESTIZZA (Udine) - Se ci passi durante tutto l'anno vedi i portoni chiusi. Sia quelli che un tempo venivano usati per far entrare i trattori nelle corti delle case, una attaccata all'altra, che il portone più sacro, quello della chiesa parrocchiale dedicata a San Martino Vescovo. Siamo nel borgo di Nespoledo, un piccolo paese che fa "contea", nell'agreste comune di Lestizza, nel Medio Friuli. 


Dove il terremoto non ha ucciso le tradizioni
​Qui le scosse del terremoto del 1976 non hanno danneggiato le abitazioni e il sisma, contrariamente a quello che è avvenuto negli abitati a nord di Udine, i più colpiti dalla calamità, non ha mutato radicalmente gli stili di vita della gente. Non ha ucciso le tradizioni. In questi paesini che, per chi non li conosce, sembrano tutti uguali, le comunità mantengono ancora un fortissimo legame con la sacralità antica, con i rituali tramandati di padre in figlio. Riti un po' pagani e un po' sacri. Sono borghi dove si respira l'aria del secolo scorso, con edifici tutti in sasso, quelli "rubati" al fiume Tagliamento, perché di mattoni non ce n'erano e di roccia, per "far su" le case, neanche. 

La vita dei friulani di una volta
​Nespoledo racconta ancora, per chi ci passeggia, la vita dei friulani di una volta: laboriosi contadini, artigiani, devoti alla Madonna e a tutti i santi. Pieni di figli. Mai stanchi. Gente che non si lamenta e che si è sempre data una mano, senza mai dirlo. Perché è questo quello che insegnavano i vecchi. Il cuore del borgo, che sembra disabitato ma in cui la vita pullula sempre, silenziosa, dietro ai portoni di legno e dentro le corti, è la chiesa, l'edificio che domina il paesino, quello più grande, il cui tetto svetta alto, sopra ogni casa in linea, lungo la strada. 

La chiesa e i riliquiari del 1300
​La chiesa, di cui poca si sa, di cui poco si è scritto nei decenni, ha una storia tutta da raccontare, ma che gli abitanti di Nespoledo conoscono bene. E che amano. Custodisce da sempre arredi sacri di valore immenso: chili e chili d'argento trasformati in preziosi candelabri, croci astili e croci processionali di epoca compresa tra il '700 e il '900; ci sono riliquiari straordinari del 1300 di scuola veneziana le cui reliquie la tradizione attribuisce ai Santi Ippolito, Sant'Ivo e Santa Giuliana. 

Antichi e preziosi ex voto
Arredi mai visti, che decorano tre altari di incredibile bellezza, tra il fonte battesimale in rame e pietra, le statue dei santi, gli stendardi con le immagini dei santi e della Vergine, anche quelli in argento sbalzato. Raro poterli ammirare, questi tesori degni di un museo d'arte. Perché sono nascosti per quasi tutto il periodo dell'anno. Per timore di furti. Non è la prima volta, infatti, che i ladri rubano nelle piccole e ricchissime chiese campestri del Medio Friuli. Ci sono anche dei antichi e presiosi ex voto che arrivano dalla chiesa campestre, edificata come ex voto, per dire grazie per una sventata epidemia, una pestilenza di cui s'è persa memoria. 

La ricorrenza di Sant'Antonio Abate
​Ma per la ricorrenza di Sant'Antonio Abate ogni argento viene lucidato ed esposto, sull'altare maggiore, trionfale con il suo drappo purpureo, e sui due altari laterali, decorati da immensi cesti di fiori. In quel giorno, oggi, domenica 21 gennaio, questa chiesa-museo si apre. E si possono vedere gli arredi sacri. La statua viene portata in processione, poi c'è la messa. Ci sono due processioni, gemelle in realtà: una la mattina, con una enorme statua di Sant'Antonio, di grande peso, portata a spalla dai coscritti fino alla parrocchiale. Seguono gonfaloni e drappi sacri; uno spettacolo; è lunga un chilometro; parte dalla chiesa campestre, per raggiungere la parrocchiale, e ritorna il pomeriggio, con gli stessi onori.

Prima la messa poi la festa
Vengono sparsi i petali di rose lungo il tracciato percorso dai fedeli in preghiera; ci sono la benedizione, con l'accompagnamento musicale della banda del paese, e poi si fa festa. Sono le famiglie del posto, in maniera del tutto spontanea, a preparare da mangiare per tutti: polenta cucinata in strada, il latte trasformato in formaggio freschissimo e ricotta, in un cortile. ​Le anziane di Nespoledo, cuffia "sanitaria" in testa, collana e bracciale di perle, spadellano tutto il giorno e ne escono gnocchi, salame con l'aceto, qualche frittura di piccoli pesci, tutti piatti della tradizione locale. La festa è intima, poco o nulla pubblicizzata. Una festa per la gente del paese, ma aperta con straordinaria generosità a chi, curioso, che ha saputo, e viene da fuori.

Non c'è nulla da pagare

Non c'è nulla da pagare: le degustazioni sono a offerta libera. Il ricavato? In beneficienza, sempre, da oltre cento anni. E chi vive in questo piccolo paese di sasso non si indispettisce se entri nelle corti private, che si spalancano sulla campagna silenziosa che dorme d’inverno, tra damigiane di vino, galline dei pollai, arnesi da lavoro e cumuli di legna accatastati per scaldarsi. Per un giorno, solo uno, Nespoledo è di tutti. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino