TRIESTE - Il Governo avvia dal Friuli Venezia Giulia un forte pressing sui Comuni per incrementare l’accoglienza diffusa dei migranti che chiedono protezione in Italia, ma...
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Si muove su tre fronti distinti ma concentrici l’azione del Governo per gestire l’emergenza. Innanzitutto le espulsioni, che diventano praticabili tanto quanto esistano accordi con i Paesi d’origine degli stranieri da cacciare. Proprio ieri il ministro dell’Interno Marco Minniti ha concordato a Tripoli con il presidente del Consiglio presidenziale libico Falez Mustafa Al Serraj ed esponenti del suo Governo quello che ha definito «un progetto di memorandum d’intesa» per rafforzare la cooperazione tra Italia e Libia «nel campo della sicurezza congiunta, del contrasto al terrorismo e del traffico di esseri umani».
Ma per rendere più rapide ed efficaci le pratiche di espulsione di chi non ha titolo per rimanere in Italia, a cominciare da chi abbia commesso reati, occorrono i centri di espulsione, che Minniti immagina come “mini-Cie” capaci di ospitare al massimo un centinaio di stranieri e per brevi periodi (un mese?) prima dell’imbarco e del rimpatrio per via aerea o marittima.
Sul punto, delicatissimo, dei nuovi centri Morcone non si sbilancia: «Ne parlerà il ministro il 19 gennaio prossimo a Roma con i presidenti delle Regioni in occasione della riunione dell’apposita conferenza».
Il terzo fronte, più facile soltanto all’apparenza, riguarda per l’appunto una più capillare - e numericamente più sostanziosa - accoglienza diffusa sul territorio italiano. L’azione “persuasiva” è cominciata ieri a Trieste, capoluogo di quel Friuli Venezia Giulia che non è spiaggia da sbarco mediterraneo ma approdo terrestre da nord (Austria) e da Est (Slovenia e soprattutto Balcani). Debora Serracchiani, presidente della Regione e vice di Matteo Renzi alla segreteria nazionale del Pd, rammenta ai sindaci che occorre agire d’iniziativa, sviluppando progetti d’accoglienza, prima di dover essere costretti a subire l’imperio prefettizio. Le fa eco Annapaola Porzio, commissario del Governo per il Fvg, in ciò sostenuta dai sindaci delle città capoluogo che risultano oberate di richiedenti asilo non meno che di migranti “vaganti” senza alloggio e talora senza titoli di permanenza.
Ma in quella che assume le sembianze di una guerra fra poveri l’Anci, l’associazione dei Comuni, difende a spada tratta le realtà demograficamente più piccole: «Sono 150 su 216 i Comuni del Fvg con meno di 5mila abitanti», attacca il presidente Mario Pezzetta. «Vogliamo accogliere chi ha conseguito la protezione e magari famiglie disperate in fuga dalle trtagedia - aggiunge - piuttosto che tanti giovani maschi armati di smartphone che, dopo tanti “no” rimediati in mezza Europa, tentano da noi l’ultima carta».
Una condizione che ricalca quelle di tanto Nordest e in generale tanta Italia. I Comuni, in particolare, pretendono il rispetto dell’accordo Stato-Anci: mai più di 2,5 migranti ogni mille residenti. E qui i conti non tornano. Prendiamo il Friuli: attualmente “ospita” circa 4.800 migranti (compreso il Cara di Gradisca), ma avrebbe diritto a non superare le 3mila unità. «E allora il Governo trasferisca intanto quelli di troppo - taglia corto il presidente dell’Anci - e poi vedremo cosa sia possibile. Cosa sia sostenibile». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino