Quel patto tra Letta e Putin a Trieste che fece nascere il ponte per la Russia: «Ora salviamo le aziende»

L'incontro tra Letta e Putin a Trieste nel 2013
Anno 2013, l’Ucraina era un Paese in pace. Non era nemmeno iniziata la prima aggressione russa in Donbass e Crimea. Trieste, piazza Unità. In una città...

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Anno 2013, l’Ucraina era un Paese in pace. Non era nemmeno iniziata la prima aggressione russa in Donbass e Crimea. Trieste, piazza Unità. In una città blindata l’allora premier italiano Enrico Letta stringeva la mano a quello che oggi è il comandante in capo della guerra, Vladimir Putin. Sembra un’era geologica fa. Quel giorno, in faccia al Golfo, nascevano 28 tra accordi e trattati. Russia e Italia stringevano non solo mani, ma alleanze economiche. Una di queste abbracciava gli interessi del nostro territorio: “A Bridge To Russia” (un ponte per la Russia) nasceva per accompagnare le imprese a investire a Mosca. E oggi, al vertice della tensione, la stessa realtà (di cui fa parte Finest Spa di Pordenone, finanziaria partecipata della Regione) non ha alzato bandiera bianca di fronte alla guerra. Anzi, rimane un baluardo diplomatico, l’unico canale per evitare che all’orrore delle armi non si affianchi subito anche il dramma per le aziende. 


IL QUADRO


Non c’è solo “A Bridge To Russia”, a sopravvivere al fragore delle bombe. Il Friuli è presente a Mosca anche con “Antenna”, l’ente per le imprese che sono attive in Russia collegato allo sportello “Sprint”. Banalmente che significa? Che anche di fronte alle sanzioni e perfino all’”arma nucleare finanziaria” rappresentata dal taglio di alcune banche russe dal sistema di codici Swift, c’è un mondo diplomatico che regge, nelle relazioni tra il Friuli Venezia Giulia e la Russia sempre più isolata dal resto del mondo. Rizzano De Eccher, Danieli, ma anche Zoppas, Gruppo Veronesi. Oltre a decine di altri attori economici che non sono colossi ma che a Mosca hanno basi, controllate, quote. E che rischiano di finire vittime del panico. Il timore, infatti, in queste settimane è quello delle cosiddette contro-sanzioni, le armi finanziarie che Putin e il suo governo potrebbero utilizzare per colpire gli interessi occidentali in Russia. Una risposta alla pioggia di tagli che dal blocco Nato (ma non solo) si è abbattuta sul sistema economico russo all’indomani dell’aggressione all’Ucraina. 


IL RUOLO


Primo, le due istituzioni nate in Friuli, funzionano anche in questi giorni. C’è tanto lavoro sotto traccia, non pubblicizzato. Una diplomazia parallela, quella delle aziende. Il telefono scotta. C’è già chi ha paventato la possibilità di abbandonare o cedere gli interessi in terra di Russia, fanno sapere dall’interno degli enti citati. Ed è proprio questo l’obiettivo numero uno del canale diplomatico-economico che regge l’urto della guerra: evitare che ciò accada, salvare le aziende del nostro territorio da decisioni affrettate o attacchi di panico sul mercato. «Un canale laterale mentre gli altri attori non si parlano». Perché si cerca lo stesso di mandare avanti l’economia. Non arriva ghisa, non arriva acciaio in Friuli Venezia Giulia. C’è da tutelare la presenza friulana in Russia ma anche gli interessi di chi dalla nostra regione contava su quel mercato per andare avanti. In mezzo un canale mai interrotto, mentre il resto delle relazioni si è già spezzato come una sottile bava di ragno. 


LA POLITICA


«I nostri imprenditori - ha spiegato l’assessore regionale alle Attività produttive Sergio Emidio Bini - si sono trovati improvvisamente in mezzo a una bufera. Per questo è fondamentale che il sistema Regione metta loro a disposizione tutti gli strumenti che ha a disposizione per dare una mano». E i due enti raccontati servono proprio a questo: ultimi baluardi tra due mondi che hanno smesso di dialogare. «Il panico è verosimile - prosegue sempre Bini - ed è purtroppo un crescendo. Stanno abbandonando il campo anche le multinazionali, per questo è importante che non lo facciamo noi con i nostri imprenditori. I canali restano aperti, le aziende ne hanno bisogno. Il popolo ucraino rappresenta la prima emergenza, ma noi dobbiamo pensare alle nostre imprese. Evitiamo il disastro». 

 

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Il Gazzettino