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Dalla fuga disperata da un sobborgo di Kiev minacciato dall’esercito russo a un camice bianco da indossare in corsia, per aiutare i malati e tornare al lavoro che in poche ore era svanito nel nulla, trascinato via dalle bombe assieme alla normalità. È la storia di Tamila, donna ucraina che oggi è ospitata a Pordenone, nei locali che un tempo erano dedicati al servizio di guardia medica nella residenza per anziani “Casa Serena”. Ed è una storia che parla di futuro quando sembra impossibile, quando l’unico riferimento è il recente passato fatto di una fuga precipitosa e angosciante e un presente lontano dal cuore di casa. «Tamila - ha raccontato il direttore della struttura che ha messo a disposizione i locali per l’accoglienza dei rifugiati - fino a prima dello scoppio del conflitto lavorava come infermiera in uno studio dentistico in Ucraina. Ma ha anche la qualifica di ostetrica». La donna lo ha comunicato ai responsabili della struttura già a metà marzo, quando ha varcato la porta di Casa Serena dopo il lungo viaggio verso l’Italia.
I PREPARATIVI
Da quel momento si è messa in moto la macchina della solidarietà con il suo volto migliore, quello che non pensa solo al presente ma è proiettato a un futuro - soprattutto lavorativo - per chi desidera rimanere al sicuro lontano da casa.
L’OSPITALITÀ
Tamila, che condivide gli appartamenti della guardia medica di Casa Serena con Marina, un’altra donna ucraina che invece proviene dalla regione di Odessa e che si trova a Pordenone sempre da metà marzo, è arrivata in città salvando dai bombardamenti ormai imminenti anche suo figlio. Maxim ha 14 anni, lo sguardo fisso sul cellulare come tutti i suoi coetanei. Passa la gran parte del tempo chattando con gli amici che non sono riusciti a scappare o che non hanno voluto farlo. L’adolescente non frequenta ancora una scuola italiana, anche se sta imparando la lingua molto in fretta. Al momento si collega tramite il computer con l’istituto che frequentava in Ucraina. Utilizza la didattica a distanza, un modo (spesso non privo di difficoltà e interruzioni) per rimanere con il cuore e con gli occhi vicino ai suoi vecchi compagni di classe. «L’accoglienza - conclude sempre Giovanni Di Prima - procede molto bene. Le due famiglie si stanno ambientando e abbiamo dato loro delle biciclette per potersi muovere più agevolmente in città». Ora, però, per Tamila arriverà la svolta più importante: un lavoro in ospedale e una nuova vita dopo la fuga dall’orrore. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino