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Chi ogni giorno lavora al porto commerciale di Marghera, terminal adriatico tra i più lontani rispetto all’istmo di Suez, teme soprattutto per l’incertezza dell’evolversi degli eventi in una situazione, quella del Mar Rosso, che è già un altro teatro di guerra visti i bombardamenti subìti dai mercantili e i contrattacchi delle forze americane e britanniche. Né confortano alcune notizie che arrivano da altre città, anche da non distante, si veda il caso di Trieste che già da qualche tempo non vede più arrivare i portacontainer.
Luca Fiorini, imprenditore del settore, titolare della Fiorini Omnia Service, è anche presidente della sezione Trasporto, Logistica e Portualità di Confindustria Veneto Est.
«La crisi – dice – abbiamo iniziato a vederla un mesetto fa, sia per quanto riguarda le materie prime che per i prodotti finiti. Il punto è che, complice anche l’atmosfera natalizia, la cosa è passata sotto traccia e solo ora il sistema stesso sta iniziando a prendere consapevolezza dei contraccolpi. D’altra parte, anche se geograficamente lontano, quanto sta succedendo riguarda la nostra vita. E il peggio ce lo aspettiamo adesso».
«Purtroppo -aggiunge - ci stiamo rendendo conto in prima persona di cosa sta accadendo a Suez: due nostri container, prenotati per conto di un esportatore italiano, sono stati colpiti durante l’attacco della nave Al Jasrah 028E (linea di navigazione porta container Hapag Lloyd)».
Secondo Fiorini ci sono due grossi problemi da affrontare: «Il primo è stato ed è comunicare ai clienti un dilazionamento dei tempi di consegna che mediamente è già di oltre un mese.
Preoccupazione viene espressa anche da Andrea Scarpa, titolare della società Archimede Gruden e presidente di Assosped Venezia, associazione che raccoglie circa la metà della ottantina di ditte di spedizione presenti al porto commerciale. «Difficile immaginare cosa possa succedere – spiega –. Dobbiamo fare i conti con una realtà in continuo e rapido mutamento: certo è che se le navi non arrivano più nei porti italiani, bisognerà lavorare sulle alternative che giocoforza saranno l’aumento del traffico stradale e ferroviario per i trasporti, con conseguenti ritardi, costi più alti, maggiori rischi per la sicurezza e inquinamento, alla faccia dell’Italia green. Ora tutti si stanno accorgendo di cosa sta capitando in quella zona del pianeta e cosa potrebbe comportare per noi. Ma è anche vero che la crisi era già iniziata l’anno scorso con i noli finiti, in buona sostanza, sulle montagne russe: da 15mila euro a container da 40 piedi si era scesi a dieci volte di meno, adesso è in atto il processo esattamente opposto. Un saliscendi difficile da gestire. Ne deriva un’alterazione dei meccanismi di domanda e offerta del mercato che ci sta spiazzando tutti e di fronte alla quale non sappiamo cosa fare. Aspettiamo di capire quale sia la via d’uscita».
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