La battaglia vinta di Bruno: «Ho battuto il Covid dopo 193 giorni». Il diario social di Ilaria ha parlato a tutti

Bruno Cadorin ha sconfitto il Covid ed è tornato a casa
MONTEBELLUNA - Dopo 193 giorni di ricovero, 85 in terapia intensiva, 18 di coma farmacologico, ieri il geometra Bruno Cadorin, montebellunese amatissimo da tutti anche nella sua...

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MONTEBELLUNA - Dopo 193 giorni di ricovero, 85 in terapia intensiva, 18 di coma farmacologico, ieri il geometra Bruno Cadorin, montebellunese amatissimo da tutti anche nella sua funzione di diacono, è stato dimesso dall’ospedale cittadino e ha fatto rientro a casa.

Ci ha impiegato sei mesi ma, alla fine, ha vinto la sua battaglia contro il Covid. Una notizia di fronte alla quale è impossibile non provare un brivido di emozione e commozione. Sia perché in questi mesi la situazione dell’uomo è stata caratterizzata anche da momenti di grande apprensione (e talvolta la sua vita è rimasta appesa a un sottilissimo filo), sia perché il dolore e la preoccupazione sono stati condivisi da tutta la città, grazie anche a una sorta di diario che, pressoché quotidianamente nei giorni della terapia intensiva, la figlia Ilaria Cadorin, psicoterapeuta, ha tenuto costantemente aggiornando tutti sulle condizioni del papà ma anche, in un certo senso, scrivendo a se stessa. 

IL DIARIO
Di quel diario, ieri Ilaria ha scritto l’ultima pagina. «Oggi papà uscirà dall’ospedale, dopo 6 mesi e mezzo. Siamo in un vortice di emozioni, di gioia pura in fibrillazione. Come immersi in un lungo flashback, la nostra mente ripercorre gli 85 giorni di terapia intensiva, il periodo più angosciante per noi durante il quale quotidianamente facevamo i conti con la possibilità più plausibile e concreta che papà Bruno potesse lasciarci». Una possibilità che il 21 aprile, quando da dietro un vetro gli è stata impartita l’estrema unzione, è parsa più vicina che mai. E Ilaria non ha bisogno di appunti per scandire i mesi della sofferenza. Perché sono immortalati nella mente e nel cuore. A cominciare da quel 6 marzo quando il papà è risultato positivo. «Le nostre attenzioni, però, erano concentrate sulla mamma, che era messa peggio - racconta Ilaria - ed è stato solo il 15 che papà ha detto che non respirava più». 

LA PAURA
Ecco il ricovero, l’essere intubato, il coma farmacologico, la tracheotomia, in un viaggio all’infermo che poteva sembrare senza ritorno. Ed è in quei giorni che è nato il diario. «Avevamo entrambi i genitori in ospedale e i messaggi erano continui - prosegue la figlia -. Io, che nella vita ho usato pochissimo Facebook, ho pensato che fosse necessario trovare un modo per comunicare con tutti quelli che ci vogliono bene». In realtà, però, quel racconto, struggente anche nella fiducia che Ilaria ha sempre continuato a dimostrare contro ogni logica e razionalità, è arrivato in varie parti d’Italia. «Sono giunti commenti da tutta la penisola - dice ancora - e molte persone malate di Covid hanno detto di essersi perfettamente ritrovate». Un racconto che però, soprattutto, dà la misura del legame di un’intera famiglia attorno al malato e di un’intera comunità attorno a quella famiglia. Che non ha mai smesso di lottare. «Ad esempio abbiamo realizzato un Mp3 di persone care a mio papà - prosegue la figlia - per farglielo ascoltare quando era in coma. Lui adora i Pooh e quindi avevamo inserito gli auguri di Red Canzian e Dodi, ma anche quelli di Beppe Marotta dell’Inter e di tanti comici contattati attraverso mio zio Marco (il noto comico, ndr). Del resto, oltre al corpo c’è la mente». 

IL SOLLIEVO


Così, fra infezioni e riprese, cadute e risalite, Bruno ce l’ha fatta. «È una medaglia per l’ospedale - prosegue Ilaria - Abbiamo trovato vicinanza, amore, affetto». E lui, che ha varcato con le sue gambe la soglia di casa, dice: «Ho vissuto questi 193 giorni intensamente. Ho avuto paura di quello che mi stava succedendo ma non ho mai avuto paura di morire, non perché la morte non mi spaventasse ma perché sentivo fosse lontana da me. A volte bastava un messaggio per cambiare la giornata. È stato un periodo di prova ma anche di grazia. Ho trovato medici, infermieri e tutto il personale straordinari. Continuo a pensare che siano state decisive per me quattro cose: la fede che non mi ha mai abbandonato, l’amore della famiglia, la preghiera, e il sostegno e la vicinanza di tantissime persone». Come in una favola. Con uno splendido lieto fine. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino