Giulio Regeni, il processo. Da al-Sisi a Renzi i testimoni chiamati in aula

Si apre a Roma il processo ai quattro 007 egiziani accusati di avere sequestrato, torturato e ucciso Giulio Regeni nel gennaio del 2016 al Cairo. Un procedimento che potrebbe...

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Si apre a Roma il processo ai quattro 007 egiziani accusati di avere sequestrato, torturato e ucciso Giulio Regeni nel gennaio del 2016 al Cairo. Un procedimento che potrebbe veder sfilare, in qualità di testimoni, ex premier, ex ministri, e funzionari che hanno ricoperto, all'epoca del drammatico omicidio, ruoli apicali nei servizi di sicurezza e alla Farnesina. Le parti processuali hanno depositato all'attenzione dei giudici della prima Corte d'Assise la lista testi chiedendo di convocare a piazzale Clodio anche l'attuale presidente della Repubblica egiziana, Abdel Fattah al-Sisi. Tra le persone citate e sui quali dovranno esprimersi i giudici anche l'ex premier Matteo Renzi e l'ex ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. E ancora: Marco Minniti, ex responsabile della autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, i tre capi dei servizi segreti che si sono succeduti nel tempo e l'allora segretario generale della Farnesina, Elisabetta Belloni oltre all'amministratore delegato dell'Eni, Claudio Descalzi.


GLI IMPUTATI


Nei confronti degli imputati, a seconda delle posizioni, le accuse sono di concorso in lesioni personali aggravate, omicidio aggravato e sequestro di persona aggravato. Al termine di un tortuoso iter giudiziario e dopo che la Consulta, nel settembre scorso, aveva fatto uscire il procedimento dal pantano in cui era finto a causa dell'assenza degli imputati, il gup di Roma ha mandato a giudizio il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamal e Uhsam Helmi e il maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif.


La decisione della Consulta ha, quindi, impresso una svolta al procedimento dichiarando illegittimo l'art. 420-bis, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice procede in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell'imputato, è impossibile avere la prova che quest'ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo. Una decisione che interviene dichiarando non legittimo l'articolo nella parte in cui non prevede che il processo possa andare avanti per i delitti di tortura definiti dall'art. 1, comma 1, della Convenzione di New York e cioè commesso da funzionari pubblici o da chi comunque agisce a titolo ufficiale, e deve esserci un atteggiamento ostruzionistico da parte dello Stato di appartenenza degli imputati che renda impossibile provare che questi siano a conoscenza della pendenza del procedimento a loro carico.


In base a quanto stabilito dalla Consulta è sufficiente che gli imputati, così come già accertato, siano a conoscenza dell' «esistenza» del procedimento. In questo modo è stato superato l'ostruzionismo delle autorità egiziane. Nel processo si è costituita parte civile la Presidenza del Consiglio che ha sollecitato, in caso di condanna degli imputati, un risarcimento di 2 milioni di euro. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino