Gioielliere ucciso durante una rapina: giostrai presi dopo 20 anni, ma la Cassazione li libera

Gioielliere ucciso durante una rapina: giostrai presi dopo 20 anni, ma la Cassazione li libera
VENEZIA - Dopo più di vent'anni gli inquirenti scongelano il duplice omicidio diventato cold case e mettono sotto inchiesta i presunti assassini. Ma i giudici, pur...

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VENEZIA - Dopo più di vent'anni gli inquirenti scongelano il duplice omicidio diventato cold case e mettono sotto inchiesta i presunti assassini. Ma i giudici, pur condividendo la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza nei confronti degli indagati, decidono di lasciarli comunque liberi. Dopo il Tribunale di Mantova e il Riesame di Brescia, infatti, anche la Cassazione ha rigettato la richiesta di custodia cautelare nei confronti di cinque giostrai residenti fra  Vicentino e Padovano, sospettati per la sanguinosa rapina che nel 1996 a Suzzara costò la vita a un orafo lombardo e a un bandito veneto.

I FATTI
Accadde il 19 dicembre, in una gioielleria del piccolo centro mantovano. Nel tentativo di proteggere la moglie dall'assalto dei malviventi armati, Gabriele Mora aprì il fuoco e colpì uno dei rapinatori, il 25enne veronese Rudi Casagrande, poi abbandonato agonizzante dai complici fuori dall'ospedale di Thiene. Il commerciante venne a sua volta raggiunto da sei proiettili e morì praticamente all'istante. Per due decenni gli investigatori avevano imboccato piste sbagliate, finché lo scorso anno le rivelazioni di un nomade e le intercettazioni telefoniche avevano portato all'iscrizione sul registro degli indagati di cinque giostrai veneti: Gionata Floriani, padovano di Busiago di Campo San Martino, e i vicentini Dori, cioè Adriano, Danilo, Giancarlo e Stefano.
RICHIESTA RESPINTA
Fra dicembre del 2017 e gennaio del 2018, però, sia a Mantova che a Brescia i giudici hanno respinto la richiesta di custodia cautelare formulata dal procuratore Manuela Fasolato, originaria di Rovigo. In entrambe le sedi di giudizio, infatti, erano state ritenute del tutto insussistenti le esigenze cautelari, sia sul piano dell'inquinamento probatorio, sia per quanto riguarda il rischio di reiterazione dei reati, «difettando l'attualità e la concretezza del pericolo stesso». A quel punto la Procura aveva presentato ricorso alla Suprema Corte, affermando che non si era tenuto in debito conto il fatto che gli indagati «appartenevano a gruppi familiari inseriti in contesti contrapposti, gravitavano negli ambienti criminali, avevano commesso reati e operavano in un contesto complessivamente omertoso». Inoltre era stato sottolineato che Danilo e Adriano Dori avevano minacciato una testimone e che Floriani, con un precedente per rapina, possedeva attualmente e illecitamente una pistola ed era sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno.
LE MOTIVAZIONI

Ma con le motivazioni pubblicate in questi giorni, la Cassazione ha ritenuto corretta la valutazione già espressa nel grado precedente. «I giudici dell'appello cautelare hanno argomentato gli ermellini hanno convenientemente chiarito che i Dori, pur presentando le rispettive biografie penali delle ricadute, sono risultati per il lunghissimo tempo trascorso esenti da altri fatti in qualche misura ragguagliabili al grave reato omicidiario oggetto di contestazione, né sono risultati inseriti in contesti criminali organizzati o comunque tali da far reputare reiterabile il modus operandi che si configura essere stato adottato nel reato oggetto di verifica processuale». Quanto a Floriani, per la Suprema Corte è vero che «è gravato da una rapina commessa nel 2002», ma appunto quel fatto risale «a 15 anni prima» delle nuove contestazioni. Caratterizzata da «coerenza, completezza e logicità» è inoltre l'ordinanza che escludeva l'inquinamento delle prove, perché le minacce alla teste si sono «risolte in esternazioni verbali, in nessun modo supportate da atti indicativi di una reale intenzione intimidatoria». Infine «la distanza cronologica dal delitto per cui si procede è di 21 anni e impone un più rigoroso esame del requisito dell'attualità del rischio di reiterazione di futuri reati»: analisi che, per la Cassazione, evidentemente non ha condotto ad alcun rischio in tal senso.
Angela Pederiva
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Il Gazzettino