Roberto, il geometra sacilese che lavorava per Emergency al fianco di Gino Strada

Roberto Crestan lavora per Emergency
SACILE - Mentre continuano incessanti i tributi in onore di Gino Strada, il medico fondatore di Emergency - tantissimi anche i sacilesi che, sui social, esprimono parole di...

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SACILE - Mentre continuano incessanti i tributi in onore di Gino Strada, il medico fondatore di Emergency - tantissimi anche i sacilesi che, sui social, esprimono parole di cordoglio e di incredulità per la perdita di un simbolo della lotta contro le ingiustizie e la malattia nei Paesi più svantaggiati -, ecco la testimonianza di uno dei suoi collaboratori.

Roberto Crestan, 44 anni, sacilese doc, da lungo tempo lavora per Emergency per la costruzione di ospedali nei luoghi maledetti della terra. Ha iniziato nel 2005 la sua collaborazione con la Ong di Gino Strada dopo tanti anni trascorsi, come geometra, nelle imprese di costruzione sacilesi, dalla Polese alla Pessot.

«Prima – spiega – avevo lavorato come direttore di cantiere con diverse aziende del territorio e, successivamente, con l’Impregilo. Nel 2005 – aggiunge – ho voluto dare una mia svolta alla mia vita e conoscere il mondo. Volevo uscire dalle normali logiche commerciali del mondo delle costruzioni e operare con qualche organizzazione che mi coinvolgesse in un progetto più grande e appassionante. È stato in quel periodo che è iniziata la mia collaborazione con la Ong di Gino Strada. All’inizio dei miei contatti con Emergency, pensavo che sarei finito a dirigere il cantiere per la costruzione di qualche capanna in Africa adibita ad infermeria o poco altro. Gino Strada, al contrario, mi spiegò che avrei dovuto seguire i lavori di un cantiere dove sarebbe sorto un ospedale di standard elevato che non avesse nulla da invidiare alle strutture di eccellenza europee: una sfida appassionante ed intrigante dove avrei avuto la possibilità di lavorare fianco a fianco con professionisti che costituivano un team eccezionale. Finii per coinvolgere in questa avventura anche mia moglie Lucia Ianna, originaria di Budoia, che mi seguì per occuparsi della parte amministrativa».


Cosa ha significato per lei lavorare fianco a fianco con Gino Strada


«Ha significato operare con una persona che aveva una visione lungimirante, molto diversa dal modo tradizionale di approcciarsi alla situazione drammatica di tanti Paesi travagliati da guerre, malattie, carestie. Gino agiva all’opposto della logica paternalistica di tanti interventi che i Paesi ricchi promuovono nei confronti di quelli più poveri, fatti di sovvenzioni, aiuti umanitari di corto respiro che danno sollievo nell’immediatezza ma non intervengono sui problemi strutturali. Lui guardava guardava al futuro di questi Paesi. Aveva in mente una sanità incentrata sul paziente, in grado di prendere in carico il malato, ma anche il sistema sanitario nel suo complesso. Ogni scelta che Gino ha ispirato era indirizzata a realizzare, tassello dopo tassello, una struttura che finisse per promuovere conseguenze positive a vasto raggio». 


Quali sono i veri problemi?


«Il problema di molti Stati africani non sono tanto i soldi; mancano i professionisti e il knowhow. Molti laureati in Medicina finiscono per venire in Europa o frequentare Scuole di specializzazione e difficilmente tornano nel loro Paese con la prospettiva di lavorare in strutture fatiscenti dove mancano infermieri, tecnici di laboratorio, esperti nel settore biomedicale, elettricisti in grado di riparare un concentratore di ossigeno o un generatore. In questo modo si disperde un patrimonio professionale e umano con conseguenze negative a tutti i livelli. Questa è stata la visione lungimirante di Gino: a Kartoum, per esempio, dove sorge un ospedale di terzo livello, sono state avviate, in collaborazione con le scuole di specializzazione, tre scuole di speciali, in cardiochirurgia, cardio anestesia e cardiologia. Ma qui vengono formati anche infermieri, tecnici con varie competenze. Per lui era fondamentale che il gruppo di lavoro fisse coeso. Su una cosa era scherzosamente tassativo: avremmo dovuto cenare insieme, Ivniser, bella casa in cui abitavamo tutti quanti, in uno spirito di gruppo».


Come avete reagito alla notizia della sua morte improvvisa?


«È stata una mazzata. Da allora sono lacrime e dolore. Ma di una cosa sono certo: lui ha saputo trasmettere il suo entusiasmo e il suo punto di vista e soorattutto, ha creato un gruppo coeso che saprà portare avanti il suo sogno».

 

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Il Gazzettino