Gianangela, quasi uccisa dal marito: «Marta come me, leggi ingiuste»

Gianangela Gigliotti, aggredita con un'accetta dal marito da cui si stava separando nel 2013
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CONEGLIANO-  Nove anni fa, nel luglio del 2013, l’aggressione a colpi di accetta da parte del marito, a Parè di Conegliano, ridusse Gianangela Gigliotti su una sedia a rotelle. Una condizione con la quale dovrà convivere per sempre. Eppure, l’autore della terribile violenza, dal marzo del 2021, è in semilibertà. Pure il quindicenne che lo scorso anno a Mogliano Veneto colpì Marta Novello, studentessa di 26 anni che stava correndo per strada, riducendola in fin di vita con 23 coltellate, è già libero e vive con la mamma a Londra. Due storie che presentano punti di contatto, pur nella diversità. Non solo perché le vittime sono due donne che hanno visto la loro vita cambiare radicalmente in un istante, ma anche perché ritengono di non aver trovato nella legge le giuste risposte. E Gianangela Gigliotti, dalla sua casa di Conegliano, coglie con affetto ed empatia tutti gli aspetti affini fra la sua vicenda e quella di Marta.

Come vive l’atteggiamento della giustizia verso le efferate violenze contro le donne?

«Non dico più nulla. Non è giusto, ma mi sono rassegnata: la legge è questa. La rispetto perché va rispettata, ma moralmente non la accetto e credo che andrebbe cambiata. Nel contempo, però, voglio cercare di non pensarci. Purtroppo è così».

In qual modo riesce a convivere con il trauma che ha subito?

«Ora sono presa da tutt’altre cose, cose belle: mi concentro su quelle, anche se ogni tanto lui mi viene in mente e quando sto male gliene mando tante. Spero che qualche maledizione gli arrivi. Ad un certo punto, però, non si può continuare a pensare sempre a questo, altrimenti non si vive più».

Che messaggio si sente di mandare a Marta?

«Il suo caso mi stringe il cuore e le rivolgo un forte abbraccio. La invito a cercare di pensare a cose belle e a circondarsi di bellezza, a concentrarsi su ciò che la può rendere felice. E’ giovane, ha tanta positività davanti a sé. Io ad esempio ho un figlio fantastico e due nipotini di tre e un anno. Penso a loro e questo mi basta per trovare la felicità; è bellissimo quando la bambina resta con me, anche se è vivacissima. Penso che anche per Marta sarà così e che alla fine la bellezza prevarrà, anche se questo amaro resterà sempre».

Entrambe, però, dovrete probabilmente fare per sempre i conti con la paura.

«Quella è perenne, il tempo la smussa, ma non la elimina. Io, ad esempio, un tempo lasciavo sempre porte e finestre aperte. Infatti, mio marito entrò proprio da una finestra che avevo lasciato aperta. Ora non lo faccio più, a meno che non ci sia mio figlio in casa e non sia in una condizione di sicurezza».

Le vostre due storie presentano aspetti comuni e differenze.

«Credo che, da tanti punti di vista, il caso di Marta sia estremamente grave, perfino peggiore, se possibile. Nel nostro caso, c’erano degli attriti e una separazione in corso; nel suo, invece, lei è stata scelta assolutamente a caso dall’aggressore. E non credo che la giovane età del ragazzo che le ha inferto le coltellate possa rappresentare un’attenuante: a quindici anni sai benissimo distinguere fra il bene e il male e le marachelle che fai possono riguardare il bere un po’ di più o il correre troppo in motorino. Accoltellare una persona, però, è un’altra cosa e non è assolutamente concepibile dal punto di vista morale».

Nel suo caso, è rimasta una condizione di invalidità.

«Ciò che più mi pesa è pesare. Non mi sembra giusto che mio figlio, un ragazzo di trent’anni con una famiglia e un lavoro, debba essere condizionato da me o sostituire la badante quando è in ferie. Glielo dico sempre, ma lui reagisce con il sorriso».

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Il Gazzettino