​Schiavizzati nei campi del Friuli Venezia Giulia. Arrivano i primi permessi di soggiorno

Schiavizzati nei campi del Friuli Venezia Giulia. Arrivano i primi permessi di soggiorno
PORDENONE - Il caporalato mette radici nelle campagne friulane, tra vigneti e allevamenti di polli, sfruttando gli immigrati. A scoperchiare il fenomeno, che ha portato Pordenone...

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PORDENONE - Il caporalato mette radici nelle campagne friulane, tra vigneti e allevamenti di polli, sfruttando gli immigrati. A scoperchiare il fenomeno, che ha portato Pordenone in testa alle classifiche nazionali, sono stati la Flai Cgil e i Carabinieri di Pordenone. Non ci sono in Italia altre inchieste sul caporalato fondate sulle testimonianze di un numero così elevato di immigrati: 50 pakistani che hanno "osato" rompere il muro dell'omertà e ribellarsi agli stessi connazionali. Ma la novità è che dopo due anni di lavoro e due richieste di rinvio a giudizio avanzate dalla Procura, che le vittime che hanno denunciato le loro condizioni di lavoro stanno per ottenere - o hanno già ottenuto - il permesso di lavoro proprio per le condizioni di sfruttamento subìte. La Cgil ne ha dato notizia ieri, in occasione della Giornata internazionale del migrante celebrata al teatro Arrigoni di San Vito al Tagliamento, dove non è mancato il confronto tra un Friuli terra di immigrazione, uscito dalla miseria grazie alle rimesse dei suoi emigranti, e l'ondata di immigrati che arriva cercando un futuro, scappando dagli effetti delle mutazioni climatiche o dalle guerre.


LA DENUNCIA
Maurizio Marcon, segretario generale Cgil, ha parlato di «illegalità è diffusa» e di politiche del tutto inadeguate sui flussi. «Oggi i corregionali all'estero sono 180mila, circa il 14% della popolazione friulana - ha osservato Marcon -, le nostre aziende annunciano mancanza di manodopera e pensano di aprire scuole di formazione in Africa con l'idea di costituire un bacino di lavoratori per le imprese, mentre decine di migranti languiscono in una ex caserma in attesa della regolarizzazione, altri vengono rimpallati tra un hangar ed edifici riadattati. I nostri governi proseguono a non voler leggere la realtà. Fermare i flussi migratori significa renderli illegali. Oggi nel ricco Nordest denunciamo con forza che anche da noi esiste l'illegalità e lo sfruttamento delle persone. Il nostro progresso sociale, economico e civile ottenuto con i sacrifici di coloro che hanno percorso in passato la stessa lotta di chi arriva oggi, non ci mette al riparo dalla degenerazione dell'illegalità. Non esistono anticorpi». A rappresentare la segreteria nazionale c'era Andrea Gambillara, che ha evidenziato il meccanismo di collaborazione che si è instaurato tra associazioni, inquirenti e immigrati sfruttati. Ha parlato di una denuncia coraggiosa e di un numero di lavoratori coinvolti ben maggiore sul territorio friulano.


LA SITUAZIONE
In agricoltura ci sono 16.955 lavoratori (12.453 nel 2013), di cui 4.342 sono extracomunitari. Pordenone è un caso particolare, perchè la variazione tra il 2013 (811) e il 2022 (2.656) è stata del 227,5%, ben 1.845 lavoratori in più. A livello regionale quelli di origine pakistana, in particolare, in soli cinque anni sono aumentati da poche decine agli attuali 1.500 circa. Ma tutta questa manodopera basta? Secondo Coldiretti no, non è sufficiente. Nel 2002 - come ha riportato Alessandro Russo, ricercatore dell'Ires - il picco di giornate lavorate ha avuto un incremento del 5,7%, con un numero medio di giornate lavorate pari a 109 (a tempo pieno sono impiegate 700 persone). E ha aggiunto che negli ultimi anni gli operai agricoli è stabile, intorno ai 17mila, il 70 per cento dei quali è maschio. «Applicando i parametri Inps alle superfici - ha sottolineato Russo - in Friuli Venezia Giulia mancherebbero quasi 172mila giornate». Che cosa significa? «O i campi si lavorano da soli - ha detto Dina Sovran (Flai Cgil) - o qualcosa non torna».


IL TERRITORIO


Nell'inchiesta della Procura di Pordenone emerge che la maggior parte dei lavorati sfruttati dai caporali è stata impiegata in provincia di Pordenone, lungo l'asta del Tagliamento, ma anche in alcune aziende della provincia di Udine. Alberto Bernava, sindaco di San Vito, non si è sottratto alle responsabilità delle amministrazioni comunali. «Il tema è serio e va affrontato - ha detto il sindaco - Per chi vuole nuove possibilità di vita, l'accoglienza diffusa è la soluzione per integrare le famiglie, che devono imparare la lingua, avere una casa e mandare i bambini a scuola. C'è tuttavia un'emergenza abitativa senza uguali che mette in difficoltà le amministrazioni». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino