UDINE - Inaugura oggi, venerdì 4 settembre, la sua piccola bottega, in via Caterina Percoto, a Udine, dopo una vita di sofferenza e orrore. Insieme alla sua famiglia, Asghar è...
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Alle 17 il taglio del nastro, con un momento conviviale dai sapori pakistani e italiani. «Un piccolo grande traguardo nel percorso di autonomia e integrazione di Asghar e di noi tutti - dicono i referenti del centro -; oggi ci uniremo in una preghiera cristiana e musulmana per augurare il meglio a questa nuova attività».
La storia di Asghar
Asghar ha 38 anni, è di cittadinanza pakistana e dal 2011 è ospite del centro. «Quando è arrivato era un uomo provato, prostrato da una sofferenza lacerante - spiegano i referenti del centro di Zugliano -. La guerra, l’atrocità della violenza lo avevano portato nell’abisso della disperazione e dell’abbandono fino a fargli perdere la voglia di vivere e di essere sottoposto a cure specialistiche. Neanche il suo trasferimento in una struttura protetta per persone vulnerabili ha visto beneficio». Asghar ha trovato la porta aperta al Centro Balducci. «Oggi è irriconoscibile, per lui è iniziata una nuova vita. Il suo sguardo, anche se segnato da profonda tristezza, comunica fiducia e speranza; i suoi passi sono più spediti e sicuri, guidati dalla forza e dalla volontà di andare avanti per raggiungere il traguardo».
“Come ogni giovane musulmano, mi sono sposato a 15 anni e a 20 anni avevo già due figli - racconta Asghar -. Poi è iniziato tutto, la mia vita è entrata nel tunnel della violenza. Il regime talebano mi ha trasportato in Afghanistan e sono stato in carcere, forse per tre anni, non ricordo, non avevo il senso del tempo, ma così mi ha detto la mia famiglia. Ho visto e subito l’orrore della violenza umana. Ho visto di tutto: seppellire vivi tanti giovani come me, torturare i miei compagni in modo crudele e inimmaginabile. Sono riuscito a scappare insieme ad altri bucando giorno per giorno con la punta di un coltellino il muretto del bagno».
Poi i “signori della guerra”, i talebani, lo hanno obbligato a entrare nella loro scuola, per essere addestrato a diventare un combattente talebano. «Sono stato trasportato nei campi di addestramento di nuovo in Afghanistan, poi in Arabia Saudita e a Kashmir. Non voglio ricordare ciò che ho vissuto. Per la paura, per il terrore di uccidere gli altri e di essere ucciso sono scappato. Ho traversato a piedi vari paesi: Turchia, Macedonia, Serbia, Ungheria e Austria. Dopo mesi di viaggio e cammino nel 2010 sono arrivato a Bolzano, e in questura ho presentato domanda di asilo politico. Da lì sono stato mandato al Cara di Gorizia. Dopo 6 mesi senza nessun esito alla mia domanda mi sono trovato sulla strada. Nel 2011 sono arrivato a Udine poi nel Centro Balducci». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino