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"Data di scadenza: 19.01.2003". Con questo passaporto, padre Michele Bottacin non sarebbe potuto rientrare in Angola, fra il 30 e il 31 luglio 2002. Come succede ora, anche allora quel Paese richiedeva un documento con una validità residua di almeno sei mesi, per consentire l'ingresso ai cittadini stranieri. «Scrupoloso com'era mio fratello, non avrebbe mai affrontato un viaggio senza avere tutte le carte in regola. Se non se n'è preoccupato, probabilmente significa che non aveva più intenzione di partire. Allora forse non è morto in Cadore, magari è stato costretto a sparire perché era in pericolo...». Ormai da quattro lustri la quotidianità di Maria Rosa, e della sua famiglia nell'Alta Padovana, è scandita da ipotesi, dubbi, tormenti. Una sofferenza che domenica 5 marzo cercherà una qualche consolazione nel "Signore delle cime" di Bepi De Marzi, intonato a Vittorio Veneto dalla Corale femminile vittoriese, chiamata dall'associazione Penelope a ricordare con la musica "Gli scomparsi in montagna", evento dedicato proprio al ventennale di questo giallo.
LA SPERANZA
L'iniziativa era in calendario ancora nel 2022, ma è stata rinviata per dipanare l'ennesimo mistero di questa storia, vale a dire la possibilità che il frate originario di Loreggia fosse un uomo senza casa e senza memoria, molto somigliante a lui, che era stato fermato dai carabinieri in Campania. La speranza è andata però delusa: l'esame del Dna ha dato esito negativo. Difatti il clochard è poi risultato un agricoltore abruzzese, di cui i familiari non avevano più notizie da un anno.
LE TENSIONI
Fra le pagine, è riprodotta anche l'ultima lettera ricevuta da fra' Michele a maggio del 2002: «Arriverò a Villafranca (via Parigi) il 20 di giugno e ritornerò in Angola alla fine di luglio». Era un periodo di grandi tensioni nell'ex colonia portoghese, dove il frate cappuccino era arrivato come missionario nel 1977. Da tre decenni era in corso una sanguinosa guerra civile ed era appena stato assassinato Jonas Savimbi, capo degli indipendentisti che si opponevano al governo di José Eduardo dos Santos. «Michele non ci raccontava mai tanti dettagli racconta la sorella perché non voleva farci preoccupare. Sapevamo però che stava completando il suo secondo mandato da superiore a Luanda e che aveva la responsabilità di coordinare dodici missioni. Tornava a trovarci d'estate, ma non stava mai troppo con noi: aveva sempre mille impegni e coltivava la sua passione per le Dolomiti. La notte dormiva dai confratelli di Mussoi a Belluno e di giorno andava a camminare da solo. L'ultima volta che l'abbiamo visto, è stato nella casa di Santa Fosca a Selva di Cadore, dove ci trovavamo io e mia sorella Graziella. Nella conversazione che abbiamo avuto, sono rimasta molto colpita: l'ho visto turbato, nervoso, stressato, non sembrava neanche lui. Ad un certo punto mi ha detto: "Rosa, sapessi quanti problemi ho laggiù in Angola". Sapevo che stava curando il progetto di una grande casa di accoglienza, però gli avevano fatto capire che doveva andare avanti piano. Ho pensato che potesse trattarsi di quello, ma oggi mi resta il rammarico di non aver provato a capire cosa stava vivendo... Poi lui è tornato al convento per gli ultimi giorni di escursioni».
LA TELEFONATA
Il 23 luglio padre Bottacin si è fatto prestare una Fiat Seicento, con cui ha raggiunto il passo Cibiana, forse con l'intenzione di incamminarsi verso l'omonima forcella. Ma da allora non se ne sono più avute tracce, malgrado le imponenti ricerche coordinate dal Soccorso alpino, il cui capo Fabio Bristot aveva schierato per una settimana 298 volontari, supportati dagli elicotteri del Suem 118 e dell'Aeronautica militare. «Due o tre giorni dopo la scomparsa ricorda Maria Rosa mamma Tullia ha ricevuto una telefonata anonima. La voce era maschile, il tono era basso: "Michele non è morto, è vivo ed è poco lontano da qui. Ma non stia dire niente a nessuno. Sono anch'io un frate". Purtroppo le indagini dei carabinieri di Piombino Dese non hanno portato a niente. Tempo dopo sono riuscita a contattare la suora veneta che aveva viaggiato all'andata con lui. Mi ha detto che, quando gli aveva chiesto se sarebbero ripartiti insieme per l'Angola, lui le aveva risposto: "Non se ne parla neanche". La religiosa mi ha spiegato che mio fratello in Angola era una persona molto scomoda. Poi nel 2006 abbiamo finalmente trovato il passaporto. Dopo vent'anni non possiamo che chiederci: e se magari Michele avesse deciso di sparire, ritirandosi in qualche eremo?». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino