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VENEZIA - Per scalare forse bisogna avere un pizzico di follia. Raggiungere le vette più alte, toccare il cielo con un dito, superare i propri limiti, sfidare la natura e se stessi. Ed essere ancora qui a raccontarlo e far sì che quelle montagne e le emozioni che da esse scaturiscono aiutino a superare i disagi psichiatrici delle persone. Lo sa bene il bergamasco Agostino Da Polenza, alpinista da quando aveva i pantaloni corti, che oltre ad aver scalato il K2 ha dovuto scalare ben altre difficoltà. E da tanti anni Agostino sfrutta l'amore per la montagna per aiutare chi è in difficoltà. Da Polenza è diventato vice presidente e direttore del personale della Fondazione Emilia Bosis che, a Torcello, nella suggestiva isola della laguna di Venezia, insedia la prima edizione del Festival della Follia Gondola dei folli, da ieri a domenica 12 settembre. «Ero quasi un giovane alpinista quando mi capitò di andare al manicomio di Bergamo a fare delle serate sulle spedizioni alpinistiche raccontando e intrattenendo gli ospiti sulle spedizioni - racconta - e questo mi ha introdotto in questo strano mondo della psichiatria». Un rapporto che negli anni si è poi intensificato portando un gruppo di ospiti sull'Everest e sul K2. «L'effetto più importante è che il cambiamento di prospettive, abitudini, socialità azzera la differenza tra il paziente e gli educatori piuttosto che i medici - spiega - Perché se devo attraversare un ponte tibetano, tutti siamo allo stesso livello e il paziente lo percepisce perché vive una difficoltà fisica ma la stessa agitazione la vive anche chi lo cura. È molto bello perché dentro avventure di questo genere si crea comunità».
L'EFFETTO COMUNITÀ
Una comunità che supera le difficoltà e le distanze. «Per salire in quota abbiamo dovuto diminuire il dosaggio dei farmaci e nonostante questo abbiamo notato che i pazienti stavano bene, che il disagio mentale diminuiva - racconta - c'era un paziente, si chiamava Luigi e non parlava da 12 o 13 anni.
LAGUNA COME CROCEVIA
E Venezia in questo approccio è diventata uno snodo fondamentale, crocevia per le persone che sono affette da disturbi e che in laguna trovano pace, serenità e capacità di espressione, a contatto con la natura. Negli anni, grazie ad alcune importanti collaborazioni, Venezia, è infatti diventata una dei principali luoghi d'azione e di ritrovo della Fondazione Bosis. Per coronare e rinsaldare il forte legame culturale e terapeutico che la lega Venezia, la Fondazione ha deciso di acquistare a Torcello, l'anno scorso, una proprietà in cui realizzare il progetto Atelier Domus Emilia. Una villa novecentesca immersa in un grande giardino che ha il sapore di casa, tra storia, miti e leggende. La villa è sì una residenza vacanza per gli ospiti della Fondazione, un centinaio in tutto, ma è anche un laboratorio, un atelier dove gli assistiti possono esprimere la propria creatività. «Il clima ambientale, naturale e umano di Torcello è benefico per i nostri pazienti - spiega - è una esperienza simile alla montagna, si azzerano le differenze e si vive in comunità. Chi viene definito come diseguale si sente meno ghettizzato. In questo senso, il Festival è una occasione ottima per raccontare che la sofferenza psichiatrica è qualcosa di drammatico e per certi versi, e sempre di più, riguarda tutti. Oggi purtroppo c'è una marea di ragazzi dai 18 anni su che è ospite di queste strutture e che soffre di varie devianze». Il Festival è stato inaugurato ieri alle ore 16. Per partecipare è necessario iscriversi sul sito www.fondazionebosis.it.
Il Gazzettino