Botte, stupri, minacce: l'inferno senza fine dopo il matrimonio. Il pm: «Condannatelo a sette anni»

Violenza in famiglia
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FELTRE - Non poteva vestirsi come voleva: se lui considerava quegli abiti troppo sexy li strappava. Doveva mostrargli sempre il cellulare. Non poteva uscire con le amiche a prendersi un gelato. E a casa? Erano parolacce e violenza, anche aggressioni sessuali contro la sua volontà. Secondo la procura queste condotte messe in atto da un marito originario dell'Europa balcanica a Feltre nel 2021 sarebbero state provate nel processo. E per questo, ieri, 3 aprile, in tribunale a Belluno, il pm ha chiesto la condanna a 7 anni e mezzo per il 39enne straniero accusato di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e lesioni alla compagna.

Di tutt'altro tenore le conclusioni della difesa dell'uomo, integrato e che lavora come operaio: nella sua arringa l'avvocato Tullio Tandura (in collegio difensivo con il collega Klaus Mornico), ha ricordato come non fossero emerse prove di quanto sostenuto e ha chiesto l'assoluzione perchè il fatto non sussiste. In particolare evidenziando le incongruità del racconto della donna che avrebbe mostrato lividi, compatibili però con le giornate in cui il marito non era a casa. O ancora la testimonianza della figlia 15enne che ha dichiarato di non aver mai visto maltrattamenti o violenza in casa. E citando anche la notte di uno dei presunti abusi sessuali denunciati dalla moglie: l'uomo, come dimostrano i turni nella fabbrica dove è impiegato, era al lavoro. E le violenze anche quando vivevano con i genitori di lui? I testi portati in aula hanno smentito. Ma la ricostruzione dell'inferno vissuto dalla donna in quella casa di Feltre è stata fatta dall'avvocato di parte civile Luciano Perco che affianca la moglie 31enne costituita nel processo, anche per le due figlie minorenni. Ha concluso la sua arringa sottolineando come quelle condotte fossero state «ampiamente confermate dalla persona offesa e riscontrate dai vari testimoni». E ha ricordato i 33 incontri della donna prostrata da quella situazione al centro antiviolenza di Belluno molto spesso interrotti dalle lacrime della moglie che non riusciva più a proseguire. L'avvocato Perco ha ricordato quel «controllo sistematico, i pedinamenti le ingiurie le minacce» che la moglie avrebbe dovuto subire. Lui l'avrebbe chiamata drogata solo perché ogni tanto si fumava qualche sigaretta. Ha calato la questione nell'«ambiente maschilista di quel tipo di cultura del paese di origine di cui lui non si è liberato». Una cultura confermata dai testimoni, la sorella, la cugina e un'amica provenienti anche loro da quel paese balcanico, che hanno detto che la donna in quel contesto è trattata in questo modo. Il marito non sarebbe quindi riuscito ad accettare una moglie che viveva all'occidentale. Ma alla fine lei si è emancipata: si è fatta la patente, ha preso la macchina e ha trovato lavoro in Luxottica prendendo il coraggio di allontanarsi da lui e denunciare. Nessuna richiesta di risarcimento esorbitante: le conclusioni parlano di 20mila euro di danni, quello che chiede è solo la verità. La sentenza del tribunale collegiale si conoscerà il 19 giugno alle ore 12.
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Il Gazzettino