I genitori scappano dalla guerra, il figlio da Mosca: la famiglia si ritrova a Rovigo

Un'immagine della guerra in Ucraina
ROVIGO - Proprio a Rovigo si sono finalmente ricongiunte le strade di un padre ucraino di 63 anni e suo figlio, nato in Ucraina, residente in Russia e oggi profugo con un futuro...

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ROVIGO - Proprio a Rovigo si sono finalmente ricongiunte le strade di un padre ucraino di 63 anni e suo figlio, nato in Ucraina, residente in Russia e oggi profugo con un futuro tutto da reinventare. Un anno fa essere nati in Ucraina e residenti a Mosca sarebbe stato completamente normale. Ora significa essere additati per strada dalla popolazione infervorata dalla propaganda mediatica e interrogati per ore dalle forze dell'ordine russe a ogni minimo spostamento. Significa anche vedersi negato un affitto ed essere costretti con la forza a combattere contro i propri stessi parenti e amici d'infanzia al di là del confine, anche se si è stati esentati dal servizio militare per patologie. Significa mollare tutto e fuggire per non essere incarcerati, oppure mandati al fronte senza una minima preparazione, quindi a morire con probabilità vicine alla certezza.

LE PAROLE
Fanno rabbrividire i racconti di una famiglia che si è ricongiunta finalmente a Rovigo. Racconti che sembrano lontani, scritti su un libro di storia, e invece sono cronaca di queste ultime settimane. L'odissea di questa famiglia è iniziata più di cinque mesi fa. Il padre e la madre, 63 e 62 anni, che hanno trascorso i primi due mesi di guerra nel loro Paese, decidono di lasciare l'Ucraina dopo un bombardamento avvenuto a pochi metri dalla propria abitazione. Si ricordano persino marca e modello dei missili russi che hanno polverizzato la città natale, le palazzine governative e residenziali a pochi metri da loro. Hanno preso la macchina e iniziato un viaggio che li ha portati, metaforicamente, indietro nel tempo di trenta anni. «Trent'anni fa - racconta l'uomo - ho conosciuto un imprenditore della provincia di Rovigo per ragioni di lavoro. Abbiamo lavorato insieme, siamo diventati amici. Poi negli anni non ci siamo più sentiti, se non con qualche telefonata amichevole. Con la guerra siamo dovuti andare via dal nostro Paese e così, conoscendo l'italiano e trovando solidarietà e accoglienza da parte sua, siamo arrivati a Rovigo. Altri parenti sono in Germania, dove lo Stato riconosce economicamente molto più di quello italiano. Qui in Italia possiamo contare sull'aiuto di privati e dell'associazione Bandiera gialla. In Ucraina abbiamo lasciato un figlio, pacifista da sempre, non ha mai imbracciato un'arma, ma aiuta le truppe ucraine aggiustando automezzi».

LA FUGA
L'altro figlio, invece, si era stabilito da diversi anni a Mosca, sposando una ragazza russa con la quale ha messo su famiglia, una giovane famiglia di lavoratori come tante. «Dopo un viaggio, al rientro in Russia mio figlio è stato interrogato oltre due ore sul suo pensiero e quello della sua famiglia in merito all'azione militare russa - racconta il padre - poi con la mobilitazione dei civili abbiamo insistito perché uscisse dal Paese ed è riuscito a farlo al confine finlandese prima che entrassero in vigore le leggi punitive per i maschi che uscissero dalla Russia. In quell'occasione ha dovuto dimostrare di avere un biglietto per il rientro in Russia per ottemperare ai suoi cosiddetti doveri. Doveri che sarebbero stati andare a uccidere i suoi stessi parenti e amici d'infanzia».


Dalla Finlandia alla Germania, poi alla Turchia, infine in Italia quando è arrivato il visto. La scorsa settimana il ricongiungimento, che non può essere certo la parola fine della storia, semmai un nuovo inizio. Con un passato completamente polverizzato, ma almeno una famiglia su cui poter contare.

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Il Gazzettino