«Il Nordest del futuro è nell'export Chi non vende all'estero si estingue»

«Il Nordest del futuro è nell'export Chi non vende all'estero si estingue»
L’export rallenta, ma rimane un fattore di sviluppo cruciale per le imprese del Nordest. Soprattutto puntando su una variegata platea di nuovi paesi emergenti:...

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L’export rallenta, ma rimane un fattore di sviluppo cruciale per le imprese del Nordest. Soprattutto puntando su una variegata platea di nuovi paesi emergenti: dall’Iran e dall’Arabia al Messico, dalla Corea del Sud alla più “domestica” Repubblica Ceca. Senza trascurare Stati Uniti e Cina. Certo, mercati non privi di insidie: sono queste, però, le aree che, secondo il nuovo rapporto Sace, offrono le prospettive più ghiotte alle aziende trivenete. Al contrario, meglio tenersi alla larga da Grecia e Russia, troppo rischiose per la situazione socio-economica interna o la geopolitica internazionale. Allo stato attuale, comunque, la destinazione prevalente di beni e servizi locali non si discosta dai confini europei. E proprio il vecchio continente, in primis, ha sostenuto l’ulteriore, leggero ritocco del 2,1% nelle esportazioni registrato nei primi sei mesi del 2016, dopo l’exploit dell’anno precedente, chiuso a quota 78 miliardi di euro. Il focus sul Nordest - presentato ieri in un convegno promosso da Sace e Simest (le due società del gruppo Cassa depositi e prestiti dedicate a sostenere l’espansione internazionale delle imprese) - registra il boom di comparti come prodotti raffinati, apparecchi elettronici e mezzi di trasporto. Oltre due terzi dell’export regionale (il 68,1%), tuttavia, rimane frutto di cinque comparti: meccanica strumentale, tessile- abbigliamento, la cosiddetta altra manifattura (in cui rientrano, ad esempio, mobili, gioielli, articoli sportivi), prodotti in metallo, alimentari e bevande. “Il dato di agosto è positivo e penso che entro fine anno riusciremo a recuperare - sottolinea Roberto Zuccato, presidente di Confindustria Veneto -. Si sta, però, creando una polarizzazione tra le imprese che hanno compreso la trasformazione economica in corso e raccolgono successi e quelle che non l’hanno capito. E si allargherà sempre più . Per questo, oltre a sostenere chi va bene, è importante aiutare gli altri. E’ una questione culturale di comprendere il cambiamento, altrimenti c’è un forte rischio di estinzione”. 

Perchè, nella nuova Industria 4.0 - per usare le parole del presidente dei “piccoli” di Confindustria, Alberto Baban - “non esisteranno più piccole, medie o grandi aziende, ma solo imprese di mercato o non di mercato”. Alessandro Decio, di Sace, è fiducioso: “Per due motivi. Primo, vedo aziende più strutturate, più propense all’innovazione e all’internazionalizzazione. Secondo, gli strumenti ci sono, anche dal punto di vista delle risorse finanziarie: c’è grande disponibilità di liquidità”. Con un ulteriore vantaggio, secondo Andrea Novelli, ad di Simest: “Qui bussando ad una sola porta si possono avere tutti i servizi del sistema pubblico per l’internazionalizzazione, a differenza di altri paesi, compresa la decantata Germania” Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino