Estorsione e minacce, Celotto: "D'Altoè mi ha rovinato la vita, ma è già libero"

La sede della Btime
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TREVISO - «Se ho paura? Chi non ne avrebbe sapendo che chi ti ha rovinato la vita è subito libero? D’Altoè mi ha già minacciato in passato: si vanta di saper usare la pistola. Ma noi imprenditori vessati ci stiamo organizzando un comitato: quello che è successo a noi non deve capitare più». C’è preoccupazione nelle parole di Renato Celotto, 55enne trevigiano vittima insieme a Michele Gallà dell’estorsione smascherata nelle scorse settimane dai carabinieri. Sotto inchiesta sono finiti Rudi D’Altoè, 45 anni di Roncade, Fabio Gianduzzo, 56 anni di Eraclea ed Edi Biasiol, 52 anni di Gorizia, accusati di aver vessato le vittime con l’obiettivo di spolparne le aziende: la BTime Italia srl di cui Celotto era responsabile commerciale e Gallà amministratore unico, e due partecipate per poi farle fallire. L’altro giorno D’Altoè, che aveva portato in azienda gli altri due per riscuotere da Celotto un presunto credito, è tornato in libertà. Il tribunale del Riesame di Venezia ha accolto il ricorso del suo legale annullando la misura cautelare a cui era stato sottoposto l’impresario di Roncade. Ovvero l’obbligo di dimora nel comune di residenza e di firma alla polizia giudiziaria. Se la decisione sia stata dettata da questioni di forma o di merito lo si saprà soltanto con le motivazioni. 


PREOCCUPATO MA FIDUCIOSO
E se il legale dell’indagato accoglie con soddisfazione il pronunciamento, in Celotto si riaffaccia l’inquietudine. A maggior ragione ora che la vittima è tornata a frequentare la Marca dopo esserne rimasto lontano per mesi proprio per evitare di imbattersi nei suoi aguzzini. Anche adesso deve prendere delle precauzioni, come cambiare albergo ogni volta che torna nel Trevigiano. «Oggi torno a vivere. L’incubo è finito - aveva sospirato il giorno dell’arresto dei tre indagati -. Chi non lo ha vissuto non può neanche immaginare cosa significa essere praticamente sequestrato per un anno (dal 2020 al 2021, ndr) da questi malviventi e perdere tutto: le società, le auto, la casa, gli affetti. Ma soprattutto la dignità. Pretendevano soldi per comprarsi macchine di lusso, pagarsi le ville e i viaggi. E se non arrivavano mi picchiavano e minacciavano di morte la mia compagna e i miei figli». Celotto, grande accusatore in questa inchiesta, confida però nella giustizia.


LA MOBILITAZIONE


Intanto l’imprenditore è in contatto con altre vittime sia della Marca che del Veneziano finite nel mirino dell’impresario. Sono già alcune decine e hanno intenzione di costituire un comitato. L’obiettivo è duplice: raccontare l’inferno che hanno attraversato e chiedere giustizia. L’indagato lo scorso 29 aprile si era difeso di fronte al gip Angelo Mascolo e si era dichiarato estraneo agli addebiti: «Lo posso dimostrare - aveva sostenuto -. Non devo soldi al Celotto, invece lui ne deve a me. La ditta per la quale operavo e altre imprese che hanno lavorato per il centro commerciale “Tommasini” di Santa Maria di Sala, tra il 2019 e il 2020, avanzavano 500mila euro. Soldi mai pagati. Ho tutte le fatture insolute. Sono stato tirato dentro a questa storia dell’estorsione senza aver fatto niente». D’Altoè aveva detto la sua verità al gip del Tribunale di Treviso che aveva, però, confermato la misura cautelare ora annullata dal tribunale del riesame di Venezia. L’inchiesta condotta dal pm Gabriella Cama aveva anche portato all’emissione di un’ordinanza - firmata dal gip Mascolo - di arresto per Gianduzzo e Biasiol. Questi ultimi sono tuttora in carcere: i giudici del tribunale del Riesame di Venezia si riuniranno mercoledì per decidere se revocare o meno la misura cautelare. 

 

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Il Gazzettino