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Bronzo olimpico per Erica a Tokyo 2020, trentasette anni dopo papà Andrea, i Cipressa diventano una dinastia. È una pagina storica per lo sport italiano e veneziano in particolare, quella scritta ieri dalla fiorettista Erica Cipressa che con suo padre a bordo pedana in veste di commissario tecnico azzurro ha portato il suo mattoncino per aiutare l'Italia a salire sul podio. Un terzo posto nella prova a squadre utile per allontanare l'etichetta flop totale, per una spedizione che quantomeno ha evitato in extremis di tornare a casa clamorosamente a mani vuote. Ormai lontani i tempi del Dream Team con Valentina Vezzali, attuale sottosegretario di Stato con delega allo Sport, a trascinare le compagne in pedana. L'Italia rosa è oggi in una fase di complicato ricambio generazionale con la capitana monzese Arianna Errigo a dir poco appannata dopo una super carriera, l'esordiente pisana Martina Batini, e la senese ex campionessa mondiale Alice Volpi lasciata troppo sola a predicare nel deserto o quasi.
OCCASIONE
In questo contesto quello della debuttante Erica Cipressa è probabilmente l'unico vero sorriso giustificato in terra giapponese, essendosi messa al collo un bronzo a cinque cerchi 37 anni dopo papà Andrea, indimenticabile oro sempre nel fioretto a squadre ai Giochi di Los Angeles '84 assieme ai compagni di sala del Circolo Scherma Mestre, Mauro Numa e Andrea Borella, più Stefano Cerioni e Angelo Scuri. La 26enne miranese infatti, volata a Tokyo solo come riserva, è stata premiata con la possibilità di affrontare un unico ma importante assalto nella finale per il 3./4.
EMOZIONI
«Entrare a freddo non è stato facile ha ammette Erica Cipressa con la medaglia al collo ho mantenuta alta la concentrazione e le mie compagne mi hanno aiutata, perché è toccato a me quando già avevamo un ampio vantaggio. Ero pronta a dare tutto e sono contenta di esserci riuscita». Ancora una volta, giustamente, il citì Andrea Cipressa ha compiuto le scelte di natura tecnica puntando forte sul terzetto Errigo-Volpi-Batini. «Papà a fine gara mi ha abbracciata e mi ha detto che sono stata brava confida Erica . Il rapporto padre-figlio non è mai facile, ci sono spesso preconcetti. Lui però non mi ha mai avvantaggiato, anzi. E io volevo dimostrare al commissario tecnico e non solo a mio padre che mi merito di stare in questa squadra. Ai Giochi di Los Angeles 1984 lui ha vinto l'oro a squadre, io questo clima olimpico l'ho sempre percepito. Di sicuro arrivare qui da atleta è un sogno».
Il Gazzettino