La camorra in municipio: «Il sindaco è nostro e non ce lo toglie nessuno»

La camorra in municipio: «Il sindaco è nostro e non ce lo toglie nessuno»
ERACLEA  - «Oggi tutto a posto: avevano buttato giù il sindaco e l’abbiamo rimesso su; il sindaco è nostro e non ce lo toglie...

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ERACLEA  - «Oggi tutto a posto: avevano buttato giù il sindaco e l’abbiamo rimesso su; il sindaco è nostro e non ce lo toglie nessuno». Questa intercettazione telefonica, che risale al novembre del 2006, è stata al centro dell’udienza di ieri del processo sulle presunte infiltrazioni della camorra nel Veneto orientale, celebrato nell’aula bunker di Mestre. I pm Federica Baccaglini e Roberto Terzo hanno completato l’audizione dell’ispettore Giuseppe Palma, uno degli investigatori di punta nella lunga inchiesta sul boss Luciano Donadio e sulla sua organizzazione (ci ha lavorato dal 2002 al momento della pensione, nel 2015), il quale si è concentrato su alcuni dei principali colloqui intercettati, ritenuti significativi del potere del clan di Eraclea.

A parlare al telefono, nell’autunno di 14 anni fa era Graziano Poles, un imprenditore molto legato a Donadio, il quale con un conoscente non esitava a vantarsi del sostegno garantito alla rielezione di Graziano Teso (lo scorso anno condannato in primo grado, nel processo con rito abbreviato, a 3 anni e 3 mesi di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa), dal quale si aspettavano un aiuto in alcuni affari, primo fra tutti la vendita dell’hotel Victory ad Eraclea, immobile stimato oltre 6 milioni di euro. Da altre intercettazioni emerge che Donadio e Poles avevano finanziato la campagna elettorale di Teso e, successivamente, il sindaco si impegnò aiutandoli a cercare un acquirente per l’hotel.

Sul fronte delle intimidazioni l’ispettore Palma ha citato una serie di episodi riguardanti un debitore di Donadio, Antonio Latino, perseguitato dal boss e dai suoi uomini per ottenere il pagamento del dovuto, tra minacce di spaccargli i denti, di «aprirlo come un porco» o di tagliargli la testa, agli appostamenti sotto casa per «sfasciargli le ossa». Ma anche Donadio è stato vittima di minacce, come si è fatto raccontare uno dei difensori, l’avvocato Renato Alberini, facendo riferimento ad una lettera ricevuta da un esponente dei casalesi, Daniele Corvino, il quale fece riferimento ad un’arma che il boss di Eraclea gli aveva inviato per dirgli che avrebbe potuto usarla contro di lui o qualche familiare se non l’avesse aiutato ottenendo un prestito da un amico banchiere. E Donadio avrebbe chiesto aiuto a Raffaele Buonanno, come emerge dalle carte dell’inchiesta.

In mattinata è stato ascoltato Simone Zorzetto, figlio di Amorino, imprenditore che fu costretto a farsi finanziare da Donadio in un periodo di crisi per poi dover cedere gran parte dei suoi beni al boss. Il giovane, in una deposizione piena di non so e non ricordo, ha negato che il padre o lui abbiano ricevuto minacce o pressioni da Donadio e dai suoi uomini.


Anche l’avvocato Antonio Forza è riuscito a mettere un punto a favore del suo assistito, il bancario Denis Poles (accusato di concorso esterno per aver agevolato Donadio in una serie di operazioni societarie e finanziarie), dimostrando che a rivolgersi al boss per recuperare un’automobile rubata con all’interno una tesi di laurea, non fu il suo assistito, ma il suo predecessore. Un modo di dimostrare Poles che non era così legato al clan. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino