Canali a secco, l'esperto: «Pesci a rischio di estinzione»

Padova, intervista a Francesco Quaglio, docente di Patologia veterinaria specializzato in fauna ittica

PADOVA - Estinzione. È di questo che si parla, è a questo che si deve pensare guardando i canali cittadini prosciugati a causa della siccità. Sono diverse le...

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PADOVA - Estinzione. È di questo che si parla, è a questo che si deve pensare guardando i canali cittadini prosciugati a causa della siccità. Sono diverse le specie ittiche e vegetali che scompariranno per sempre. A confermarlo è Francesco Quaglio, docente di Patologia veterinaria specializzato in fauna ittica dell’Università di Padova.

Professore, possiamo parlare di estinzione di alcune specie di pesci?
«Si, certo. Non solo a causa dei canali prosciugati. Nel tempo sono state introdotte anche specie aliene, più resistenti ai climi caldi, alle condizioni estreme. Vanno in competizione con le specie autoctone e lentamente ne portano alla scomparsa. Poi ci sono specie esotiche predatrici e anche queste portano a un depauperamento delle nostre risorse ittiche».

Nel momento in cui c’è meno acqua, c’è meno spazio per vivere.
«Esatto, in una situazione in cui i nostri corsi sono diminuiti, i pesci si radunano in zone sempre più limitate e se vi è un predatore, si trova a nozze».

Ci sono altri fattori che possono contribuire all’estinzione in questa situazione?
«C’è il discorso del cuneo salino: abbiamo una minore concentrazione di acqua dolce che raggiunge il mare, che viene sostituita da acqua salata. Alcune specie ittiche che prima arrivavano alla foce tendono a spostarsi a monte perciò alla foce entrano specie che vivono in acqua salmastra».

Tutto ruota attorno al cambiamento climatico.
«Il cambiamento climatico porta la fauna a spostarsi verso nord, a scapito delle specie d’acqua fredda che potrebbero scomparire, come la trota marmorata. Nei nostri corsi d’acqua abbiamo un’elevata mortalità di pesci anche a causa della carenza di ossigeno. E c’è pure il fattore fotosintesi clorofilliana: le alghe durante il giorno producono una grande quantità di ossigeno ma di notte avviene il processo inverso. Producono anidride carbonica assorbendo l’ossigeno».

Secondo lei è possibile un ritorno alla normalità quando l’emergenza siccità sarà finita?
«Magari, è una domanda da cento milioni di dollari. Potremmo tornare alla normalità se il clima tornasse nelle condizioni precedenti. Fintanto che la situazione climatica rimane quella attuale è molto difficile, anzi direi impossibile».

C’è qualcosa che possiamo fare per attutire i danni?
«L’uomo dovrebbe gestire in modo diverso la risorsa idrica. Per esempio, durante le stagioni piovose si potrebbe trattenere l’acqua da utilizzare poi nelle stagioni siccitose. Il consumo esagerato di risorsa idrica che proviene dall’ambiente naturale ha cominciato a creare dei problemi già da tempo».

Ci spieghi meglio.
«Quando viene costruito un nuovo acquedotto, per fare un esempio, in linea di massima è necessario fare un’indagine per garantire un deflusso minimo vitale. Purtroppo, a volte, la necessità di acqua ha fatto alzare o abbassare i parametri di questa valutazione. Ci troviamo in situazioni dove corsi d’acqua, magari anche in buone condizioni, improvvisamente si prosciugano e questo crea una sorta di barriera per le specie. Poi c’è la questione alberi».

Cioè?


«Dopo un grave incendio la pioggia dilava il terreno portando nutrienti nel fiume: azoto, fosforo, carbonio. Tutti fertilizzanti inorganici che contribuiscono alla crescita algale. Le ceneri poi sono causa di grave irritazione branchiale che va ad aggravare gli effetti dell'anossia, cioè la carenza di ossigeno».

 

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Il Gazzettino