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MESTRE - Primi interrogatori di garanzia per gli indagati nell'inchiesta sullo spaccio di droga nella zona di via Piave, a Mestre. La giudice per le indagini preliminari di Venezia, Benedetta Vitolo, si è recata ieri mattina nel carcere di Santa Maria Maggiore dove ha ascoltato i quattro detenuti, destinatari dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere, i quali si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, assistiti dagli avvocati Borella, Tonon, Motta e Zanier. Gli altri detenuti in carcere saranno ascoltati per rogatoria negli altri penitenziari nei quali sono reclusi. Si svolgeranno nei prossimi giorni anche gli interrogatori delle persone agli arresti domiciliari e di quelli nei confronti dei quali è stato emesso un divieto di dimora.
LA POLEMICA
Intanto continuano a far discutere le misure annunciate dal sindaco Luigi Brugnaro per impedire il viavai di tossicodipendenti provenienti da fuori città, ai quali contestare un daspo urbano, con il coinvolgimento dei Comuni e delle aziende sanitarie di provenienza. Una sorta di cordone sanitario che avrebbe lo scopo di liberare le strade dai clienti disperati in cerca della dose.
«La criminalizzazione da parte dell'amministrazione emargina i consumatori - dichiara Samuele Vianello dei radicali italiani - aumentando i fattori di rischio a cui sono esposti, non gestisce il fenomeno e si limita a disperdere i luoghi di consumo e di spaccio, peraltro complicando il lavoro delle forze dell'ordine».
SERVIZI SOCIALI
Diversa l'opinione di Paolo D'Agostino a nome della Cgil-funzione pubblica: «Ancora una volta - dichiara - il sindaco sbaglia mira. Non servono cacciatori di daspo con la scorta davanti la stazione, ma un piano di investimenti chiaro sulla riduzione del danno in stretta sinergia con le Ulss e una partecipazione attiva del Comune nei piani sociali di zona. È li che si collabora fra comuni e aziende sanitarie e si da stabilità ai servizi». La richiesta, in questo caso, riguarda il ripristino dei servizi degli operatori di strada: «Nei servizi diurni - prosegue D'Agostino - sulla riduzione del danno sono rimasti ormai soltanto in cinque con le professionalità adatte a gestire questi servizi e un'età media di 50 anni. I lavoratori in appalto invece sono diversi e lasciati senza alcuna guida: spesso part-time involontari, quasi tutti precari e pagati ad ore e nessuna formazione specifica se non la loro passione e la voglia di aiutare chi ha bisogno. Ma non è così che si progettano servizi che funzionano». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino